Strage di Capaci, il Generale Piccinelli: "Lo Stato tradì Falcone e Borsellino"
Sabato 23 maggio 1992. Falcone, accompagnato dalla moglie e dalla sua scorta, fa rientro a Palermo per trascorrere un fine settimana in famiglia. Nessuno è informato di quel ritorno. Nessuno oltre i servizi segreti. Quello è il giorno nel quale l’ombra della Mafia prenderà definitivamente il sopravvento sulla figura dello Stato. Quello è il giorno della Strage di Capaci.
Sono trascorsi 30 anni da quel giorno e una verità processuale non è fino in fondo servita per accertare responsabilità e connivenze dello Stato. Sabato scorso la redazione di Picchio News è stata ospite del Via Tacito di Civitanova Marche per rivivere quel giorno. Oggi il racconto del Generale Paolo Piccinelli, che in Sicilia presterà servizio negli anni successivi alle morti di Falcone e Borsellino.
“Stavo terminando il mio primo anno di servizio operativo al 1° Battaglione Carabinieri “Piemonte” a Moncalieri, vicino Torino, quando arrivò dirompente la notizia dell’”attentatuni”: l’attentato di Capaci. Ero ancora giovane, soprattutto professionalmente, e acerbo del fenomeno mafioso.
Ma quell’attentato, in me che mi sentivo un uomo dello Stato e al servizio della gente, suscitò forte emozione e sgomento e aprì una forte curiosità a studiare e a cercare di capire il fenomeno mafioso. Ed è stato in quel periodo che cominciò a prendere corpo il desiderio di andare a prestare servizio in Sicilia (ci riuscii nel 1996, dopo aver maturato altre esperienze a Perugia e a Milano, e ci rimasi complessivamente per 11 anni).
Il fatto poi che 57 giorni dopo, il Procuratore Aggiunto Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta vennero travolti dall’esplosione di un altro attentato non fece che riempirmi la testa di tanti interrogativi. Mi domandavo come era possibile che accadesse un fatto del genere dopo quanto successo neanche due mesi prima a Falcone.
Mi chiedevo se potesse rispondere al vero la considerazione dello stesso Falcone quando affermava: “In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”. Non ci volevo credere, non ci potevo credere.
Ho seguito nel corso degli anni l’andamento delle vicissitudini giudiziarie che hanno riguardato le due stragi e quanto accaduto in questi 30 anni non avrebbe potuto trovare spazio neanche nella più fervida fantasia di qualche pluripremiato sceneggiatore hollywoodiano. Pentiti e falsi pentiti, mafiosi condannati e poi assolti, persone arrestate e poi scarcerate, computer manomessi, agende scomparse!
Ma ciò che desta forse più scalpore e indignazione è l’ombra, a dire il vero molto consistente, di una regia esterna alla mafia per la realizzazione di questi e degli altri attacchi terroristici che hanno caratterizzato buona parte degli anni 80 e 90 nel nostro Paese.
E purtroppo la Sicilia non è nuova a questo fenomeno. Sono decenni che si assiste ad un avvicendarsi di periodi in chiaroscuro nella lotta alla mafia. Basti pensare ad esempio al bandito Salvatore Giuliano, al suo ruolo e alle differenti versioni che ancora oggi si raccontano della sua morte (nel 2010, ero in servizio al Reparto Operativo di Palermo, si è reso necessario riesumarne il cadavere per essere certi, attraverso l’esame del DNA, che si trattasse realmente del bandito).
Per non parlare di come vennero condotte le indagini relative all’uccisione di Peppino Impastato, voce solitaria, isolata, ma tremendamente coraggiosa ed efficace contro la mafia, fatto esplodere sui binari della tratta ferroviaria tra Palermo e Punta Raisi nel 1978 da mano mafiosa e indicato dapprima come vittima dell’attentato da lui stesso realizzato e poi come suicida.
Solo la pervicacia del fratello Giovanni, della mamma Felicia Bartolotta e la costante attività del Centro Impastato sono riusciti a dare dignità a Peppino e a far emergere la matrice mafiosa del delitto. E l’elenco potrebbe continuare, ma preferisco non andare oltre.
Resta tuttavia l’amara considerazione che purtroppo una terra bellissima come la Sicilia, dove la stragrande maggioranza delle persone sono oneste, sia stata, e probabilmente lo è ancora, terra di compromessi tra parti deviate dello Stato e criminalità organizzata, in nome di una bramosia di potere e di interessi che ha portato solo spargimento di sangue, spesso di innocenti, molte volte di servitori dello Stato, di uno Stato a cui credevano e che invece li ha traditi!
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