Omicidio Pamela, torna a parlare la famiglia: "Una sentenza emessa davvero in nome del popolo italiano"
Dopo la sentenza di ergastolo per Innocent Oseghale, emessa lo scorso 29 maggio, torna a parlare la famiglia di Pamela Mastropietro e lo fa attraverso la pagina social a lei dedicata. "Abbiamo aspettato qualche giorno per tornare a scrivere qui - scrivono in familiari in un lungo post -, ma dovevamo metabolizzare. Riflettere".
Soddisfazione per la condanna del nigeriano, quella massima, quella in cui hanno sperato e per la quale hanno sofferto, lottato e lavorato che comunque non restituirà certo Pamela ma che comunque dà la forza per andare avanti, perché si è vinta una battaglia ma la guerra è ancora lunga. Restano ancora molti interrogativi sulla vicenda di cui la famiglia della giovane romana fa un elenco: il nigeriano era da solo o in compagnia? Possono esserci delle responsabilità della Pars? I tre nigeriani, Oseghale, Desmond ed Awelima, sono affiliati alla mafia nigeriana? Questa organizzazione è presente a Macerata e nelle Marche?
Di seguito il post integrale dalla pagina Facebook "La voce di Pamela Mastropietro".
+++UNA BATTAGLIA E’ VINTA: GRAZIE A VOI CHE CI SOSTENETE. LA VITTORIA E’ DI TUTTI+++
Abbiamo aspettato qualche giorno per tornare a scrivere qui, dopo la sentenza di condanna all’ergastolo, con isolamento diurno, emessa dalla Corte di Assise di Macerata il 29 maggio scorso, nei confronti di Innocent Oseghale. Ma dovevamo metabolizzare. Riflettere.
Sono stati mesi duri, lunghissimi, interminabili. La condanna ottenuta è quella massima. In essa abbiamo sperato. Per essa abbiamo sofferto, lottato e lavorato.
Non ci restituirà certo #Pamela, e siamo anche consapevoli che abbiamo vinto una battaglia, non certo la guerra.
Ma è una vittoria importante, che ci regala nuova linfa per andare avanti e proseguire nelle nostre battaglie, compresa quella contro la mafia nigeriana.
In attesa dell’appello che, sicuramente, i difensori del nigeriano presenteranno nei prossimi mesi, vorremmo che, chi di dovere, andasse avanti nelle altre indagini, rispondendo a questi interrogativi:
il nigeriano era da solo o in compagnia? (secondo noi vi era qualcuno, con lui: da accertare in quali momenti ed in che ruolo);
la Procura, che è sembrata spesso voler ridurre tutto al minimo, forse per concentrarsi sul processo principale, ha intenzione di aprire, almeno ora, una indagine pure sulla comunità a doppia diagnosi dove Pamela era ricoverata, per accertare eventuali responsabilità penali? (secondo noi, non sono affatto da escludere);
Oseghale, Desmond ed Awelima sono affiliati alla mafia nigeriana? (Secondo noi sì: vi sono diversi indizi gravi precisi e concordanti che portano in questa direzione. E non solo loro);
questa organizzazione è presente anche a Macerata e nelle Marche? (Molto probabilmente si: basta studiare, analizzare e mettere insieme i dati processuali riguardanti l’omicidio di Pamela ed i moltissimi altri, extraprocessuali, che sono abbastanza evidenti nel denunciare migliaia e migliaia di episodi di spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, caporalato, accattonaggio ed altro ancora, che di certo non sono da considerare come reati-fine a sé stanti, ma commessi attraverso reati-mezzo, ossia associazioni a delinquere).
Nel frattempo, noi continuiamo a lavorare, perché la brava gente non può aspettare, e noi, ormai,abbiamo questa missione: un po’ perché ce la siamo presa noi, un po’ perché ce l’avete data voi.
Ciò detto, vorremmo oggi ringraziare tutte le persone che ci hanno sostenuto in questa prima battaglia e che crescono sempre di più, cosa importantissima per il futuro: dai nostri consulenti tecnici che hanno affiancato il nostro avvocato nel processo, alle associazioni, alla gente comune, di Roma, di Macerata, di tante altre città d’Italia. Ci avete regalato tanta vicinanza, tante emozioni, con piccoli e grandi gesti, con un fiore, con un biglietto, con un messaggio, con la vostra presenza, fisica e/o morale.
Ringraziamo anche la Procura di Macerata, con la quale sono stati diversi i momenti anche di duro confronto ma impostati sempre alla massima correttezza e lealtà, ai Carabinieri, che ci hanno fatto sentire un po’ a casa, in una città che non è la nostra e che ormai accomuniamo, inevitabilmente, ai tragici fatti di quel 30 gennaio 2018, a tutte le forze di Polizia.
Infine: la sentenza. Dura, durissima, ma certamente commisurata alle atrocità perpetrate a danno di una giovane ragazza. In tanti ci avete scritto, ringraziandoci di avervi fatto ricredere anche nella Giustizia.
Noi vi ringraziamo a nostra volta, ma la sentenza- per la quale certamente abbiamo combattuto anche noi- è stata emessa da una Corte di Assise, ossia composta da magistrati togati e popolari. Loro non li possiamo ringraziare, per questo, perché hanno svolto il loro dovere, con imparzialità. Certamente, possiamo però affermare che- questa volta sì- abbiamo assistito, finalmente, ad una sentenza emessa davvero IN NOME DEL POPOLO ITALIANO.
Commenti