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Mafia e pensiero mafioso nell'economia legale

Mafia e pensiero mafioso nell'economia legale

Il trauma della normalità. La voce è quella di un ex collaboratore di giustizia: lo stupore che si prova è lo stesso che il magistrato palermitano Roberto Scarpinato, parlando dell'inizio della sua esperienza di interrogatori e di colloqui con i collaboratori di giustizia, ha chiamato “il trauma della normalità”: trovarsi di fronte uomini all'apparenza "normali", insospettabili, premurosi padri di famiglia che si trasformano in spietati assassini per poi rientrare in casa in pace con la propria coscienza, senza sensi di colpa.

Rigidità e indifferenza. Racconti che parlano di rituali, affiliazioni, vincoli e rigidi schemi delle associazioni mafiose; di quel "codice d'onore" che richiede fedeltà assoluta e obbedienza da parte di tutti gli affiliati. Al di fuori di quel sistema di norme e regole del gruppo criminale c'è " l’altro", che è a priori il nemico, il diverso, il sospetto. A fronte di un "Io" ipertrofico del mafioso, l' altro non viene visto nella sua soggettività, nei suoi stati d’animo; c'è una totale indifferenza per il suo dolore, per la sua umiliazione e anche per i suoi sentimenti positivi. Non c’è relazione con l’altro, né condivisione emotiva, né reciprocità.

Mafia diversa ma sempre uguale a sé stessa. Le organizzazioni mafiose oggi uccidono di meno. La mafia si è internazionalizzata, usa Tik Tok per reclutare i giovanissimi, fa viaggiare la droga sui social; come una multinazionale oggi investe nell’economia legale, anche grazie all'appoggio di soggetti collusi che agevolano il reimpiego dei proventi illeciti. Una strategia operativa mutata a fronte di un "patto mafioso"  i cui codici di comportamento, verbali e non, autoritari e manipolatori sono sempre gli stessi, orientati al fine ultimo che continua a essere la ricerca di potere.

La dedizione professionale verso queste tematiche apre inevitabilmente le porte a un quotidiano impegno di studio: la diffusione della  legalità riguarda tutti nel quotidiano, per contrastare quei comportamenti che sono indici di una cultura mafiosa sempre più infiltrata nella società.

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”
(Paolo Borsellino)

 

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