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"La libertà si può comprare?": come orientarsi nell'era del consumismo, parla il professor Roberto Mancini

"La libertà si può comprare?": come orientarsi nell'era del consumismo, parla il professor Roberto Mancini

In un mondo sempre più materialista, legato al profitto e al possesso, non è così irrealistico trovarsi spaventati e disorientati di fronte a una realtà ingiusta, né, al contrario, promuovere attivamente un sistema che fa apparire l’impegno e la produttività come le uniche due chiavi per guadagnare, e quindi avere successo ed essere, per così dire, liberi.

Risulta spesso difficile riuscire a discernere ciò che ci rende liberi da ciò che in realtà è un’apparenza. La libertà che viviamo tutti i giorni è spesso vista come positiva poiché non conosciamo ciò che è nascosto dietro di essa, e pensiamo che l’unico motivo di orgoglio sia possedere un capo firmato.

Per approfondire la questione abbiamo intervistato Roberto Mancini, professore di filosofia teoretica all’Università di Macerata e direttore del Dipartimento di Studi Umanistici.

Noi Europei siamo davvero privilegiati? Il concetto di libertà è circoscritto alla possibilità di poter acquistare tutto ciò che si vuole?

“La possibilità di poter acquistare ciò che si vuole non indica libertà ma consumismo; la libertà non coincide con il benessere materiale: è certamente importante essere liberi da povertà e miseria, ma la libertà autentica è la realizzazione di sé stessi da un lato, e dall’altro è la libertà collettiva, ovvero di una comunità sociale che garantisce i diritti a tutti e di stare in armonia con la natura. L'Europa non ha un privilegio particolare, semmai deve custodire le conquiste del passato senza identificare sé stessa con un grande mercato dove tutto è misurato dal denaro”.

Dal punto di vista di noi giovani, quanto sarebbe estesa la responsabilità del consumatore? E quella del lavoratore?

“Nelle scelte di consumo bisogna distinguere tra consumi artificiali, nocivi, e consumi primari e di qualità anche nel rispetto della caratteristica ecologica e democratica dei temi: ciò che noi troviamo da comprare può essere prodotto in modo scorretto o in modo etico, rispettando lavoratori e natura. I giovani hanno il problema del potere d'acquisto, poiché nella società odierna vengono spesso esclusi dal lavoro e sono molto poco considerati nel sistema economico vigente. Ma anche i giovani sono compratori, e son proprio loro, i quali sono soggetti chiamati a cambiare questo sistema, che devono considerare delle scelte etiche nel momento dell'acquisto e riportare i criteri economici a criteri etici: questa è la misura essenziale”.

È possibile la creazione di un’economia diversa, che abbia come fulcro l’uomo e non il profitto? Sarebbe possibile estenderli in larga scala?

“Non solo è possibile, ma è necessario e è stato realizzato in alcuni esperimenti e percorsi storici. Già a partire dal movimento della non violenza di Gandhi, ci sono state realtà di economia non violenta che poi si sono diffuse in altri posti nel mondo, anche se spesso non vengono pubblicizzati. Gli esempi maggiori in termini concreti di impatto sulle società vengono dal Brasile, dall’America Latina e dall’Africa, dove hanno realizzato quella che viene chiamata un’economia solidale, un’economia della liberazione".

"Nei territori le comunità organizzano il lavoro delle imprese e anche il circuito dei consumi disposti ai bisogni della comunità (in cui ci si assicura che nessuno sia carente della moneta) e questo permette un riequilibrio del sistema economico sia rispetto al lavoro, sia rispetto al consumo, sia rispetto alla tutela del territorio. Il nostro obbiettivo è che questo diventi una cultura diffusa fino a determinare delle scelte politiche dei governi su scala internazionale. Per arrivare a questo occorre superare lo scoglio delle grandi multinazionali, dei grandi gruppi speculativi e anche l’arretratezza culturale ed etica di quasi tutti gli Stati del mondo che sono allineati su questa economia del profitto per il profitto”.

Sono stati attuati degli esperimenti simili nel nostro territorio?

"Nelle Marche ci sono stati esperimenti soprattutto dal punto di vista del lavoro agricolo: la cooperativa di Gino Girolomoni, a Isola del Piano, così come altre realtà di agricoltura biologica, hanno un orientamento sociale di tutela dei diritti delle persone e promuovono una cultura etica e non immediatamente legata al profitto per il profitto. Dove sono meno forti direi nel resto dei servizi, dove abbiamo cooperative nel mondo cosiddetto del sociale, che però faticano a stare in piedi e tutelare gli stipendi e i diritti delle persone che lavorano”.

A quali valori possono fare riferimento i giovani?

“Direi che il primo riferimento è quello di associarsi e riunirsi tra di loro senza aspettare per forza un appiglio illuminato da parte del mondo già adulto e consolidato nei ruoli economici o politici, come in effetti già succede: i movimenti ecologisti, o per il diritto allo studio o per i diritti umani, spesso vedono protagonisti i giovani. Come secondo riferimento ci sono quelle istituzioni di prossimità che possono essere le scuole, le Università o quelle comunità locali dove è possibile riunirsi anche tra generazioni diverse per un progetto di vera ecologia. Terzo riferimento quei movimenti transnazionali che hanno una caratteristica internazionale, come i movimenti ecologisti o femministi per i diritti civili. Aldilà dello spaesamento di un giovane oggi, se si guarda intorno può trovare anche sulla rete i riferimenti di movimenti che agiscono e fanno proposte su tutte le frontiere delle contraddizioni di questo modello di società che è completamente sbagliato. Non bisogna scoraggiarsi, ma unirsi per il cambiamento”.

Intervista realizzata da: Alessio Animento e Bianca Anacario

 

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