INTERVISTA - Infermieri no vax e caos tamponi a Macerata. Di Tuccio: “Ognuno si assuma le proprie responsabilità”
Con più di 1600 nuovi casi – di cui oltre 180 solo nella provincia di Macerata – la Regione Marche si prepara a fare il suo ingresso nella temuta zona arancione. Prosegue nel frattempo, la corsa ai tamponi e ai vaccini, con l’aumento progressivo anche delle segnalazioni legate ai vari astensionisti e i furbetti del green pass.
Sono i reparti della sanità pubblica e privata a finire nuovamente sotto inchiesta, con la presenza sempre più costante dei cosiddetti “infermieri no vax” (o comunque non in regola) e la complicata gestione del caos tamponi degli ultimi giorni. A fare chiarezza sulla situazione è stato il presidente dell’Ordine provinciale degli infermieri, Sandro Di Tuccio, per noi ai microfoni di Picchio News.
Che cosa è cambiato nelle ultime settimane per voi del settore infermieristico? Con il decreto legge del 26 novembre scorso è cambiata la normativa: l’accertamento di chi è in regola o no con le vaccinazioni è passato direttamente dall’Ufficio di Igiene ai vari Ordini Professionali. Noi dobbiamo quindi andare a contattare circa 300 persone e verificare la loro situazione. Chi sarà sprovvisto di certificazione verrà sospeso sino al 15 giugno 2022. Per ora sono 33 quelli già intercettati e bloccati.
Come mai questo passaggio di responsabilità? A livello nazionale gestire la situazione era diventato difficile. L’intento non è quello di iniziare una specie di caccia alle streghe, ma semplicemente di applicare la norma.
Lei si è confrontato con questi colleghi non vaccinati? Certo, poi ognuno è libero di scegliere. Molti però hanno paura: non si fidano, altri non ci credono per motivi personali, o aspettano altre tipologie di vaccino.
Perché queste persone, con il ruolo che svolgono all’interno della comunità, sono arrivate ad avere paura? Non c’è stata un’informazione corretta, secondo me: le notizie sono state pilotate anche da persone che avevano titolo e autorevolezza. Così è stato piantato il seme della paura. Deontologicamente poi noi dovremmo sempre credere alla scienza e rispettare i nostri personali canali d’informazione. Purtroppo spesso il vissuto del singolo individuo, con le varie problematiche personali, fa la differenza.
Sono previste delle iniziative a riguardo? Stiamo provando ad organizzare corsi formativi per sciogliere i dubbi, ma c’è da dire che al momento la percentuale di non vaccinati è minima: parliamo de 2-3% dei nostri iscritti. Il problema più grande è dover sospendere altri infermieri, col rischio di sovraccaricare di lavoro quelli che già presenti sul territorio, che sono comunque pochi rispetto alle necessità.
Un altro rischio potrebbe essere quello di influenzare le scelte dei vari utenti? Su queste situazioni sta al datore di lavoro intervenire, magari allontanando il professionista a contatto con i pazienti e dandogli altre mansioni. È a discrezione della struttura di appartenenza. Laddove un infermiere facesse proselitismo, dando informazioni distorte anche sui social, sarebbe un fatto grave perché c’è la violazione del codice deontologico.
Quali sono i vostri punti di forza per gestire questa situazione? Abbiamo fatto tesoro degli ultimi due anni di pandemia: sappiamo come muoverci nel miglior modo possibile.
Per quello che riguarda invece il caos tamponi, che idea vi siete fatti? Ci sono tantissimi casi sintomatici da monitorare: la richiesta supera l’offerta e non riusciamo a rispondere ai bisogni tutti. L’unica nota buona è che molti hanno sintomi lievi grazie al vaccino.
E sul costo eccessivo dei tamponi? Lì è il mercato a decidere. Fare un molecolare richiede costi perché ci sono di mezzo attrezzature, biologi, tecnici. Non è un esame banale, richiede competenza, e il costo è giustificato dal lavoro svolto. Il tampone rapido è più semplice ma ha dei limiti, quindi costi minori.
Ha senso mantenere sul mercato l’opzione del tampone “fai da te” acquistabile nei supermercati? Se esiste vuol dire che c’è richiesta. Permette un maggiore monitoraggio, sebbene poco attendibile: servono sintomi importanti della malattia. Del resto, i prodotti di qualità costano, è legge del mercato. Ma non entro nel merito.
Il cittadino così, però, rischia nel più dei casi di spendere denaro sia per il “fai da te”, sia per un tampone più attendibile. Si tratta di una libera scelta: se uno vuole spendere per un prodotto di basso livello, può farlo con tutte le conseguenze del caso.
Come si riversa tutto questo sul vostro lavoro nelle strutture sanitarie? Nonostante la scelta di partenza di un tampone più economico, il cittadino alla fine si rivolge comunque al sistema sanitario - pubblico o privato che sia - per avere maggiori controlli e sentirsi più tranquillo. Di base, a noi cambia poco a livello lavorativo.
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