Divorzio congiunto: è possibile il trasferimento di proprietà immobiliari tra gli ex coniugi?
Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”.
Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente vicende riferite alle separazioni o divorzi e nello specifico alla valenza di patti che traferiscono la proprietà degli immobili in capo ad uno dei due ex coniugi o figli. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da una lettrice di Macerata, che chiede: “In caso di divorzio congiunto sono valide le pattuizioni in merito al trasferimento della proprietà dell’immobile in capo ad uno dei due ex coniugi?
Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione molto controversa e dibattuta nelle aule dei Tribunali, risolta finalmente dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, accogliendo il ricorso di una coppia che aveva richiesto procedersi a divorzio congiunto prevedendo, tra le altre condizioni dell'accordo, il trasferimento definitivo a favore dei figli della coppia, maggiorenni economicamente non autosufficienti, della quota del 50% della nuda proprietà spettante al padre sull'immobile adibito a casa coniugale, nonché il trasferimento, da parte del marito alla moglie, dell'usufrutto sulla propria quota dell'immobile, in quanto, il Tribunale prima e la Corte d'Appello poi ritenevano, tuttavia, che i trasferimenti dei diritti reali previsti nelle condizioni di divorzio fossero invece da intendersi come impegni preliminari di vendita e acquisto e non come trasferimenti immobiliari definitivi con effetto traslativo immediato; da qui il ricorso in Cassazione a cui segue la rimessione alle Sezioni Unite, trattandosi di questione di massima di particolare importanza anche in virtù del rilevato constato tra le pronunce giurisprudenziali.
A tal proposito, la Corte spiega che la natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex art. 1322, secondo comma, c.c., come affermata dalla giurisprudenza di legittimità, comporta dunque che nessun sindacato potrà esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizioni stipulate delle parti. Al giudice, infatti, sul piano generale non è consentito sindacare qualsiasi accordo di natura contrattualmente privato che corrisponda ad una fattispecie tipica libere essendo le parti di determinarne il contenuto (ex art. 1322, primo comma, c.c.), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private; nel caso di specie, l'impostazione seguita dalla Corte d'Appello si è dunque "tradotta in concreto in un limite ingiustificato all'esplicazione dell'autonomia privata" e si è concretata "in una sorta di peculiare, quanto inammissibile, conversione dell'atto di autonomia che da trasferimento definitivo e stato trasformato d'ufficio dal giudice in un mero obbligo di trasferimento immobiliare".
La sentenza rammenta anche come l'art. 29 della Legge n. 52/1985 preveda la nullità degli atti di trasferimento di diritti reali su fabbricati esistenti in caso di mancanza dell'identificazione catastale, nonché del riferimento alle planimetrie depositato in catasto e della dichiarazione, resa in atto dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie. Tuttavia, tale nullità "testuale" non appare ancorabile al soggetto che compie tale accertamento, potendo notificarsi anche qualora l'atto sia rogato da un notaio o le parti private nella scrittura privata autenticata. Ne discende che l'accordo traslativo adottato in sede di divorzio (principio, mutatis mutandis, ritenuto applicabile anche alla separazione consensuale) dovrà contenere a pena di nullità le indicazioni richieste dall'art. 29, comma 1-bis, della Legge menzionata. Infine, sempre per le Sezioni Unite, il verbale dell'udienza di comparizione dei coniugi redatto dal cancelliere ai sensi dell'art. 126 c.p.c. realizza, da un lato, l'esigenza della forma scritta dei trasferimenti immobiliari, richiesta dall'art. 1350 c.c., e dall'altro riveste natura di atto pubblico avente fede privilegiata, fino a querela di falso, sia della provenienza dal cancelliere che lo redige e degli atti da questi compiuti, sia dei fatti che egli attesta essere avvenuti in sua presenza.
Per tali motivi, in risposta alla domanda della nostra lettrice, risulta corretto affermare che, “Nel divorzio a domanda congiunta e nella separazione consensuale è consentito ai coniugi inserire clausole che riconoscono, a uno o a entrambi, la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, o altri diritti reali, o anche che ne operino il trasferimento a favore di uno di essi, o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento. L'accordo omologato ha la forma di atto pubblico. Tale accordo di divorzio o di separazione, poiché inserito nel verbale d'udienza, redatto da un ausiliario del giudice , assume forma di atto pubblico” (Cassazione Sezioni Unite Civili sentenza n. 21761/2021).
Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.
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