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Bufera diamanti, Maurizio Sacchi (DPI): "Prezzi gonfiati? Solo allarmismo, ecco perché"

Bufera diamanti, Maurizio Sacchi (DPI): "Prezzi gonfiati? Solo allarmismo, ecco perché"

"Siamo tranquilli, sicuri della correttezza del nostro lavoro. Abbiamo autorevoli pareri che ci confortano. Le carte sono più che in regola e non abbiamo timore di dimostrarlo di fronte alla magistratura se dovesse esserci una procura che volesse indagare sul nostro business. Un business che esiste da 40 anni e che la nostra società porta avanti da 15 senza che ci sia stato un cliente o un istituto bancario che abbia avuto da lamentarsi. Se non adesso. Da quando è esploso il caso mediatico relativo ai presunti prezzi gonfiati. Eppure non è facile determinare il prezzo di un diamante, figuriamoci se a stabilirlo è, per esempio, il gioielliere sotto casa o una parte che ha in qualche modo interesse”. Così Maurizio Sacchi, presidente della DPI, Diamond Private Investment di Porto Recanati, replica al servizio delle Iene (leggi qui), andato in onda mercoledì, servizio incentrato sulla presunta truffa dei diamanti da investimento, pagati dagli investitori, questa l’accusa, a un costo gonfiato.

“Ci troviamo in questo frullatore mediatico da tempo, abbiamo sempre preferito non intervenire, ma ora la vicenda, con l’accostamento della nostra azienda alle vicende di un altro imprenditore che ha scelto di togliersi la vita, con cui non abbiamo avuto mai rapporti, sta diventando una presa in giro. E allora abbiamo scelto di dire la nostra. Avremmo preferito di no, ma semplicemente perché con gli interlocutori delle trasmissioni che hanno trattato questo argomento, è complicato mettersi a un tavolo e spiegare, con le modalità che sono soliti adottare, non si può avviare un confronto. Nei giorni scorsi è stata fatta una vera e propria imboscata, alla quale, voglio precisare, mi sono sottratto ma non barricandosi in casa. Semplicemente ero altrove quel giorno, ero fuori Italia. A un certo punto, se dovesse essere, a difenderci nelle sede opportune non avremo problemi, come è avvenuto e avverrà al Tar. Questo frullatore sta gettando discredito su un’azienda che, negli ultimi 4 anni, ha pagato 109 milioni di Iva, 55 milioni di tasse, un’azienda che è stata premiata dai mercati esteri, verso i quali siamo già indirizzati da tempo, e tanto più ora che queste ricostruzioni scorrette potrebbero ammazzare, se non lo hanno già fatto, il nostro business, di cui, ripeto, in tutti questi anni nessuno ha dubitato se non dopo le notizie costruite su fondamenta errate". "Errore" che l'azienda ricostruisce in una lunga nota. "La vicenda che coinvolge la società ha avuto avvio in seguito al reportage proposto da una notatrasmissione televisiva che ha inteso avvalersi del 'parere' di una associazione di categoriasicuramente non imparziale e non disinteressata rispetto all’eventuale demolizione di un’attività esistente sul mercato da oltre 40 anni, da sempre connotata dall’assoluta soddisfazione dellavastissima clientela - si legge - DPI intende, tuttavia, tralasciare in questa sede gli aspetti deontologici che hanno interessato la conduzione e la messa in onda della suddetta trasmissione in assenza di un effettivo e leale contraddittorio.

L’affermazione secondo la quale DPI avrebbe truffato i propri clienti nel vendere diamanti dainvestimento a prezzi notevolmente superiori quelli indicati dal listino Rapaport (presentato erroneamente da non ben definite voci di presunti esperti come indice ufficiale dei diamanti) costituisce semplificazione inaccettabile oltre che infondata.

L'affermazione è tanto suggestiva, idonea ad essere cavalcata da stampa disattenta e da soggetti a vario titolo interessati alla demolizione commerciale della DPI, quanto infondata. Si tratta della classica affermazione adatta a riempire titoli ad effetto, in grado di fare audience, perché si sa, la suggestione del mondo dei diamanti, ed in particolare, presunti scandali ad esso legati, è sempre un argomento mediaticamente intrigante. Seppure esista una sanzione da parte dell’AGCM, tra l’altro impugnata di fronte al TAR (che ne haanche deliberato la sospensiva pecuniaria) e quindi ancora tutta da definire, essa non è riferita a quegli aspetti che sembrano essere alla base delle accuse mediatiche. La correttezza della determinazione del prezzo di vendita da parte di DPI e la liceità del business sono state peraltro confermate sia dalla AGCM (che, nei propri provvedimenti sanzionatori, si è limitata a rilevare un deficit di comunicazione alla clientela), sia da consulenze redatte da importanti docenti universitari del settore riconosciuti a livello internazionale. I professionisti, in particolare, hanno anche dimostrato l’impossibile utilizzo, ai fini che interessano il commercio condotto da DPI, del listino Rapaport, e della conseguente quindi inattendibilità delle considerazioni che avrebbero portato al presunto deficit comunicativo. Quanto ai residui rilievi mossi dalla Autorità Garante, che, si ripete, non riguardano la determinazione del prezzo e, dunque, la convenienza economica dell'affare per i singoli clienti, DPI si è rivolta alla Magistratura Amministrativa, nel cui operato confida, con un articolato ricorso sul quale, anche per non indulgere al sensazionalismo mediatico, non intende soffermarsi".

"La premessa dalla quale è necessario muovere - scrive ancora l'azienda - è che non esiste un fixing ufficiale del diamante, e nemmeno un riferimento ufficioso riconosciuto internazionalmente. Il motivo di tutto ciò si basa sul fatto che in natura esistono oltre 16.000 tipologie di diamanti, distinte non solo per caratura, ma, soprattutto, per qualità, ossia per taglio, colore, purezza, fluorescenza; pertanto risulta impossibilericonoscere un “fixing ufficiale del diamante”.

I diamanti da investimento rappresentano soltanto il 2% circa della produzione e comprendono le pietre di qualità più alta (classificati A1), del cui trading si occupa la DPI, e per stabilirne il prezzo risulta deontologicamente e scientificamente scorretto prendere a riferimento valori indicativamente attribuibili a diamanti di categorie più basse (A3 e inferiori) che possono variare di oltre il 50% in meno del valore, trattandosi apparentemente dello stesso diamante (ad esempio undiamante da 1 carato, colore D, purezza IF può variare di oltre 15.000 € già all’ingrosso).

Ad attestare tutto ciò, oltre ad indiscutibili perizie, è lo stesso Rapaport, erroneamente consideratocome listino di riferimento al pubblico del “diamante” in generale.
Il cosiddetto “Rapaport” è un listino prezzi utilizzato esclusivamente da operatori professionali del settore all’ingrosso, basato su indicazioni che rappresentano esclusivamente una guida ed un punto di riferimento e partenza per la definizione del prezzo di una determinata pietra preziosa. È lo stesso Rapaport ad avvertire sul fatto che il suo listino non rappresenta alcun indice o benchmark ufficiale dei diamanti, bensì una propria opinione sul prezzo di partenza all’ingrosso, che non contempla, ad esempio, né le particolarità di taglio (che incidono sensibilmente sul prezzo), né i costi di importazione, di certificazione, di qualità, né le imposte (IVA), né tantomeno le spese di commercializzazione e le altre voci economiche necessarie a condurre un simile commercio".

"Per confutare quindi ogni potenziale illazione sul fatto che i prezzi di DPI siano “gonfiati” è sufficiente calcolare, con fatture alla mano, che il costo della pietra nuda, regolarmente importata e con le caratteristiche al top di gamma, senza considerare alcun servizio aggiuntivo e alcun margine né per DPI né per alcun intermediario, è pari al 71.83% del prezzo. A questo punto invitiamo la clientela a diffidare di tutti coloro che sostengono la tesi dei prezzi gonfiati, poiché probabilmente è proprio in quell’offerta ad esserci qualcosa di non trasparente. In merito poi ai presunti andamenti “falsati” del mercato di cui alcune associazioni accusano, pubblicando grafici con andamenti completamente differenti da quanto sostenuto da DPI, si specifica che anche tutto ciò è frutto di accuse artificiose, o, nella migliore delle ipotesi, di ignoranza scientifica, poiché, come chiunque può in modo elementare sostenere, confrontare dati di natura disomogenea è un grossolano errore; anche in questo caso le perizie dimostrano la veridicità dei dati forniti da DPI, avvalorate da ulteriori studi matematici".

"Il clamore mediatico seguito alla trasmissione televisiva ricordata ed ai numerosi articoli di stampa (dei quali hanno beneficiato esclusivamente i soggetti con palese interesse alla demolizione di tale mercato) ha determinato una sorta di panic selling unito alla paralisi completa del mercato: un risultato diametralmente opposto rispetto a quello che dovrebbe essere perseguito dalle associazionidi consumatori. Queste, poi, anziché tutelare l’interesse degli aderenti, hanno inteso scagliarsi, prividi qualunque cognizione tecnica, contro la presunta “truffa dei diamanti” coinvolgendo la società egli istituti bancari in una vicenda dai connotati assai torbidi.

E ciò in spregio, ancora una volta, a qualunque regola che impone, per la correttezza dell’azione, l’ascolto delle parti in causa senza pregiudizi di sorta. La libertà di informazione ed il diritto di cronaca trovano limiti precisi nella verità dei fatti enell’obbligo di verifica di veridicità di essi. Tale principio è stato reiteratamente disatteso ed ignorato da quanti hanno inteso “lanciarsi” sullanotizia arbitrariamente veicolata senza alcuna preventiva documentazione circa i connotati veri delle attività di DPI - conclude la nota - DPI ha consapevolmente scelto in questi mesi il silenzio mediatico, dettato dal rispetto degli accertamenti degli organi competenti. Tale scelta è stata dettata anche dalla convinzione che i processi abbiano opportune sedi e opportuni professionisti, che non sono le piazze, i media o i soggetti non qualificati a tale attività. Il diritto di cronaca è una cosa, il giudizio su notizie arbitrarietutt’altro".

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