Nei giorni di Macerata Racconta è quasi fatale, per accadimenti che si narrano attorno a protagonisti cittadini, raccomandare una rilettura delle “Lettere di Abelardo ed Eloisa”. Nel nostro caso sono più lettere di missione per fruire di una relazione che accorate rimembranze di una passione, ma sempre di sentimenti si tratta.
Come ognun sa la vicenda dei due amanti francesi è struggente e intensissima: ha percosso dal Medioevo ai giorni nostri il cuore di chiunque l’abbia ascoltata. Condensata, andò così: otto secoli or sono una bellissima fanciulla sedicenne colta e bionda, Eloisa, s’invaghì di Abelardo, maestro filosofo di enorme popolarità. I due, come scrivono, si amano “follemente e senza prudenza” – e qui torna la nostra attualità – e finiscono non bene: lei incinta e in convento, lui evirato e scomunicato.
Ma molti anni dopo si scambieranno queste lettere dove si e ci raccontano l’amor perduto che per lei è rimpianto e per lui dannazione. Si parva licet vicenda simile si vive a Macerata con due protagonisti che chiameremo Senzalardo lui visto che è magro e attempato e Micalòlisa lei in perenne lotta con l’anagrafe. E forse in ossequio alla sentenza popolare che sostiene: con l’uso non si consuma. Di che cosa si tratti ognuno è libero d’interpretare. Or bene pare che queste lettere di missione giacciano, alimentando più che la compassione il pettegolezzo divertito di solerti funzionari municipali, tra l’ufficio del personale e l’ufficio cassa in attesa di riscossione.
Si citano in queste “lettere”, viaggi che Senzalardo e MIcalòlisa hanno compiuto per conto della cosa comune e per il bene comune in alcuni appuntamenti tra il festivaliero, l’incombenza di parte e l’esposizione ostentata di risultati ai così detti stakeholders.
Anche Abelardo ai suoi tempi girava molto e anche Eloisa, da quel che si diceva, amava compiacersi della sua popolarità. Ma la particolarità di queste lettere di missione è che Senzalardo e Micalòlisa chiedono il rimborso, attestando il medesimo e contemporaneo impegno, con un viaggio separato, ma con l’affitto della medesima dimora. È un po’ come a Natale quando ci ripropongono “Una poltrona per due”, in questo caso sarebbe una matrimoniale per due: letti uniti, ma conti separati!
Attenzione, non bisogna farsi prendere da fervori pentastellati che c’è spreco di pubblico denaro e dunque puzza d’irregolarità: pare che, fino a Corte dei Conti contraria, due amministratori della medesima giunta possano andare a soddisfare la stessa incombenza con due missioni distinte. Semmai balza all’occhio che il numero di camera e, da quel che si mormora a livello corridoio, l’indirizzo dell’albergo siano i medesimi in entrambe le lettere di missione, ma può capitare che, a esempio, la stanza sia grande e si decida di fare a metà delle spese di soggiorno.
Se poi l’uso del talamo sia stato promiscuo non è pertinenza amministrativa. Semmai diventa imprudenza, ma pare che si amino come già Abelardo ed Eloisa al di là di ogni prudenza – un convegno dei nostri due celebratosi il 25 aprile. Pare che Micalòlisa si già assolta dal vincolo matrimoniale, ma aspetta ansiosa la liberazione di lui con la consorte che a quel che si sa fa una certa resistenza. Comunque pare che dismessa le fascia tricolore Senzalardo si sia diretto con l’amata a San Severino dove in un noto locale – complimenti per la scelta gastronomica, si mangia davvero bene, un po’ meno per quella sulla privacy, non ha salette riservate – sulla strada per Crispiero, buen retiro del nostro, i due hanno pranzato in corrispondenza di affettuosi sensi.
Per la verità Micalòlisa è stata – così riferiscono gli involontari astanti – occhiuta dispensatrice di consigli alimentari preoccupata, e giustamente, della tenuta fisica di lui: poco pane, niente dolci, vitella tenera in attesa di altra e ben più raffinata carne da consumarsi in altro modo, certo un tartufetto, un bicchier di ottimo vino, ma niente stravizi. Micalòlisa indossava un manteau bluette damascato in stile militar-tardobarocco – del resto lei alberga palazzi barocchi che sente come cosa o casa sua a Macerata – su un pantalone candido, Senzalardo impeccabile in tailleur blu notte con camicia bianca e cravatta regimental sui toni scuri. Lui la guardava estasiato ben consapevole che in agro cecorum beati monoculi, mentre lei già pregustava il finale: come cavallini a perdifiato lungo la via agra dell’amore nel giorno della resistenza. Almeno così a Macerata si racconta.
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