Tra Acquaroli-Ricci ballano poche migliaia di voti: chi vince lo farà di corto muso
Meno trenta (o quasi), iniziato il countdown per eleggere il nuovo governatore delle Marche. Il 28 e 29 settembre poco più di un milione e 300mila marchigiani sono chiamati a scegliere il presidente della loro regione che sarà in carica – sorprese permettendo - fino al 2030.
Cinque anni fa iniziava l’Acquaroli I, e nel settembre del ‘20 era andata così: centrodestra al 49,13% (361.186 voti), centrosinistra 37,29% (274.142), Cinquestelle 8,62% (63.355). Altri numeri: affluenza al 59,75% (783.173 votanti); PD primo partito (25,11%), seguito da Lega (22,38%) e Fratelli d’Italia (18,66%).
In mezzo le politiche del ’22 e le europee del ’24, dove i rapporti di forza sono cambiati, tra i poli e dentro le stesse coalizioni. Alla tornata nazionale, FdI primo partito con 29,1%, poi PD (20,4%) e M5S (13,6%), con il centrodestra al 44,6% (340.128 voti e avvio del Governo Meloni) e centrosinistra, senza i pentastellati (103.594), al 26,7% (203.383).
Alle europee, nella Circoscrizione Italia Centrale comprendente Marche, Umbria, Lazio e Toscana, FdI al 32,9%, PD 25,5%, M5S 9,68%, con la coalizione del centrodestra indicativamente di poco sopra il 48%.
Ritornando al settembre del ’20 evidenzio solo alcuni aspetti di uno scenario molto diverso da quello attuale: in Italia girava ancora il Covid e si andava con le mascherine nei luoghi chiusi; a Roma c’era il Conte II, da febbraio ‘21 sarebbe toccato a Draghi, in carica fino al settembre ‘22, e poi al Governo Meloni; negli Stati Uniti il Trump I avrebbe lasciato il posto nel gennaio ‘21 a Biden per poi ritornare a gennaio di quest’anno; dazi, guerre e tensioni internazionali non erano nemmeno all’orizzonte.
Sembra un secolo fa, eppure è appena ieri l’altro. Qualcosa, comunque, è rimasta tale e quale, se non peggiorata. Sul voto incombe sempre lo spettro del “non voto”, soprattutto tra gli elettori junior.
In base all’ultimo Rapporto Giovani realizzato da Ipsos, solo il 31,6% ha fiducia nei partiti, 35,3 nel Governo, 44,1 nella Regione e 44,9 nel Comune, mentre la stragrande maggioranza degli intervistati non ritiene che andare alle urne sia importante.
Fare i conti con questa maggioranza silenziosa non è stato mai facile, e non basta aprire un profilo TikTok per convincere gli under 24 anni ad andare a votare e scrivere il nome del candidato sulla scheda.
Ma c’è anche la disaffezione al voto di molti elettori “maturi”, una categoria impalpabile, quanto trasversale, di donne e uomini che iniziano a considerare ogni elezione una specie di seccatura da poter evitare, considerati i recenti esiti gattopardeschi, quando andavano al Governo nazionale ibride coalizioni di sconfitti.
È assai prevedibile, dunque, che alle prossime regionali nelle Marche l’affluenza si avvicinerà ancora di più alla soglia del 50%, un marchigiano su due resterà a casa collegato con Dazn e Sky o andrà al mare tempo permettendo. È probabile che chi vincerà nelle Marche "Ohio d’Italia", la prima di una lunga serie di regioni al voto, lo farà di pochi punti percentuali.
Il candidato del centrosinistra, ex sindaco di Pesaro e attualmente europarlamentare, Matteo Ricci, è chiamato a colmare l’abisso registrato nel 2020: 12 punti di ritardo di Mangialardi su Acquaroli, che scendono a poco meno di 4 se si sommano quelli dei Cinquestelle, operazione non scontata se si pensi che, nelle coalizioni, non tutti i singoli partiti ottengono lo stesso risultato della corsa in solitaria.
L’effetto “wow” della discesa in campo del candidato del centrosinistra, appena reduce dal ricco bottino di voti che nel ’24 lo aveva proiettato in Europa, ha prodotto la massima spinta nelle prime settimane dell’annuncio, poi è andato sempre più calando fino ad azzerarsi del tutto.
Le vicende giudiziarie che hanno coinvolto Ricci non hanno fatto né faranno la differenza. E questo è un bene, per il candidato presidente e per il clima politico in generale. Hanno consumato un po' di energie e riempito pagine di giornali per qualche giorno. Poi, complice anche un agosto “galeotto”, ha prevalso la correttezza e il buon senso di tutti per garantire lo svolgimento di una campagna elettorale nel segno del rispetto delle regole e del bon ton elettorale.
Così come la differenza, per la coalizione del centrosinistra, non la farà probabilmente quel Campo Largo tanto amato dalla segretaria Schlein con AVS, Cinquestelle e “chi c’è c’è, basta sconfiggere le destre”.
Esperienze recenti, come a Genova e in Umbria, consiglierebbero la linea politica del “tutti uniti” contro Meloni & Co., anche se i mal di pancia delle varie anime PD in Toscana, Campania e Puglia potrebbero esplodere il giorno dopo la vittoria, data per quasi certa, in queste tre regioni fondamentali anche per il futuro della segretaria PD.
È vero che separati si perde, ma i partiti con una forte carica identitaria prendono più voti se corrono da soli, le ammucchiate elettorali non sono garanzia di banali sommatorie di voti, penalizzano i candidati che ci mettono la faccia insieme al simbolo. Senza considerare che c’è anche chi, come Azione di Calenda, si sfila perché, come Nanni Moretti in “Ecce Bombo”, lo si noti di più.
Lo sfilarsi non è mai una brutta mossa. Basti ricordare l’ascesa del partito di Giorgia Meloni, passato da una manciata di punti percentuali di qualche anno fa all’attuale quota 30% o giù di lì. La coerenza, spesso sconosciuta in politica, è talvolta premiata nel lungo periodo dagli elettori.
Poco importa se la motivazione di facciata al no a Ricci sia quella di alternare geograficamente il suo sì al termovalorizzatore a Roma pro Gualtieri e il no nelle Marche pro Cinquestelle: Calenda sceglie di brillare di luce propria, e vedremo se questa tattica pagherà, almeno nelle prossime elezioni.
Si vince di poco, ma Ricci e Acquaroli cosa stanno facendo per vincere?
Ricci è passato dal marchigiano alla porta, con tanto di pastarelle e bottiglia di vino, alla “sbiciclettata” tra i borghi, dalle pagaiate in mare alle passeggiate mangerecce on the beach, tanto per citare alcuni aspetti di una strategia comunicativa a dir poco ipercinetica. Il tutto accompagnato da slogan tipo daremo, faremo, aboliremo e così via. Per chi non ha governato è più difficile dimostrare di cambiare con i fatti, meglio lanciare qualche promessa, tanto è una cosa gratis che fa guadagnare titoli sui giornali e qualche applauso in piazza. “Il politico – sosteneva Winston Churchill - deve essere in grado di prevedere cosa accadrà domani, il mese prossimo e l’anno prossimo, e, in seguito, avere la capacità di spiegare perché non è avvenuto”.
Confortante il fatto che l’ex sindaco di Pesaro abbia leggermente ammorbidito i toni verso il suo avversario, descritto all’inizio come mediocre. Prova ne è che nel primo confronto diretto, Acquaroli è passato dall’essere lo “sconosciuto” di qualche settimana fa a “semi-sconosciuto”, una bella concessione da parte di Ricci. Forse qualcuno gli avrà fatto notare che, qualora il centrosinistra uscisse sconfitto, si troverebbe nella situazione imbarazzante di dover ammettere una dura realtà: aver perso contro un (presunto) mediocre e “signor” sconosciuto.
E, in caso di debacle, Ricci sceglierà di guidare l’opposizione ad Ancona o tornerà in quel di Bruxelles? Pronunciarsi sarebbe un bel gesto di cortesia per i suoi elettori, ma va compresa la sua scaramanzia, per cui non ci si aspetti annunci in questo senso, se non a risultato acquisito.
Acquaroli, dal canto suo, non ha battuto ciglio nei confronti dell’aggressiva campagna verbale di Ricci, non è caduto nella trappola della polemica urlata e sterile, non ha mai cambiato quel suo atteggiamento mite che molti confondono con una certa debolezza, quando invece è parte integrante della sua indole. Più propenso a fare in silenzio che a dare squilli di tromba, comunicare il minimo indispensabile al posto di pianificare una presenza mediatica continua – salvo l’ultimo periodo, ma lo richiedono giocoforza le regole della campagna elettorale -, l’Acquaroli I termina come era iniziato: senza clamori eccessivi, con qualche annuncio importante grazie alla sponda della filiera Ancona-Roma, vedi la ZES estesa alle Marche, e con la tendenza principale a raccontare attraverso numeri le cose fatte e quelle avviate e da dover terminare nel suo bis.
Ma se questo bis verrà, il neo governatore dovrebbe concentrarsi, oltre che sul fare e sul saper fare (competenza ed esperienza non dovrebbero mancare dopo 5 anni di governo), un po' più sul “far sapere”. Nell’era digitale chi non comunica non esiste e scegliere di non comunicare è come accomodarsi nell’anticamera dell’estinzione politica.
Cosa ci aspetterà nel prossimo quinquennio?
A livello politico avremo uno step fondamentale: le elezioni politiche del ‘27. Nel ’22 mezza Giunta Acquaroli (tre pezzi da novanta come Latini, Carloni e Castelli) se ne andò a Roma, ed è prevedibile che il valzer delle poltrone si ripeterà nell’Acquaroli II o nel Ricci I.
Inoltre, gli assessori regionali passeranno da 6 a 8, spalmando deleghe importanti – come, probabilmente, la Protezione Civile – su incarichi verticali, ed accontentando così tutte le province con un proprio assessore di riferimento.
Ci sarà da mettere mano a qualche nomina di Enti e Società da rinnovare, come più facilmente Svem ed Erap; creare un CdA per l’Atim, Azienda per il Turismo e l’Internazionalizzazione non sarebbe male, mentre Ricci vorrebbe abolirla; non nuocerebbe un cambio di passo di una promozione meno legata al “cappio” mediatico del testimonial, vedi l’ex ct della Nazionale Mancini e poi l’ex atleta Tamberi; infine, una nuova governance per l’Aeroporto di Ancona, per proseguire l'opera di rilancio avviata dall’ottimo Alex D’Orsogna, oggi alla guida dell’Aviazione Civile italiana (ENAC). Tanto per citare qualche compito per i primi cento giorni del futuro Presidente delle Marche.
Ma andiamo con ordine. Primo obiettivo: vincere. Poi per il resto c’è ancora tempo, anche se non tantissimo: se ne parlerà l’8 ottobre, a proclamazione della nuova Giunta (Acquaroli II o Ricci I).

cielo sereno (MC)
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