Dal mito di Mina alle ragazze di “Non è la Rai”: a Popsophia protagonista il racconto del femminile
Una giornata con le donne protagoniste quella di sabato a Popsophia, dalle relatrici a Mina, icona della cultura pop e mito della canzone italiana a cui è stato dedicato lo spettacolo di Civitanova Alta.
Un philoshow inedito che ha celebrato il ventennio di popolarità e l’ascesa della “tigre di Cremona”, leggendo la sua parabola alla luce di un’Italia che stava cambiando, ma anche attraverso i testi delle sue canzoni, un dizionario dell’amore che è stato raccontato da Lucrezia Ercoli e dalla scrittrice Ilaria Gaspari.
In una piazza della Libertà gremitissima in tanti hanno cantato, assieme alla Factory, i successi di Mina. Da “Brava”, “brano autoreferenziale – ha spiegato Lucrezia Ercoli – una canzone cantata da Mina e scritta per lei, canzone manifesto del suo talento”, fino alle popolarissime “E se domani”, “Parole parole”, “Ancora", che tracciano un percorso di emancipazione femminile, di rivendicazione dei propri desideri e aspettative, anche se contrarie allo spirito del tempo. “Mina dal 1958 al 1978 è stata non solo voce, ma anche un corpo, col suo stile, con la sua gestualità riconoscibilissima, è un’icona pop che intreccia tv, rotocalchi, cinema. Ma dal 1978 Mina scompare, diventa come la ninfa Eco, pura voce senza corpo dove possono solo risuonare i nostri desideri”.
La scrittrice Ilaria Gaspari ha tracciato, a partire dai testi interpretati da Mina un lessico e una grammatica amorosa attraverso l’analisi di brani come “Città vuota”, “Insieme” o “E se domani” dove emerge quel reticolo di passioni e desideri universali che contrappone l’io ipotetico del futuro a quello lirico della realtà, di chi non si accontenta di passioni non autentiche.
Il pomeriggio ha visto protagoniste in larga parte le voci femminili, capaci di raccontare la trasformazione culturale degli ultimi decenni. Eleonora Caruso ha aperto i riflettori sugli anni ’90 con “Doveva essere il nostro momento”, rievocando quella che sembra un’archeologia tecnologica anche se sono passati solo 20 anni: un’epoca che parte dai telefoni a rotella fino ai primi cellulari, dagli sms alle suonerie a pagamento, fino a Internet a 56k con le sue promesse di conoscenza e condivisione. Alice Valeria Oliveri ha invece parlato dello scheletro nell’armadio di tutte le giovani donne di oggi, cresciute negli anni ’90 a “Non è la Rai”, secondo la scrittrice e giornalista, quel modello di estetica femminile, teenager, struccata e semplice che balla in costume piccoli stacchetti musicali è oggi approdato sulle piattaforme come Tik Tok: “ecco perché secondo me Tik Tok è Non è la Rai, ma senza Boncompagni”.
A completare il quadro tematico, Guerino Nuccio Bovalino ha offerto uno sguardo critico sul rapporto tra tecnologia e identità, mettendo in luce il passaggio dall’utopia tecnologica degli anni ’90 rappresentata anche nel cinema dalla fantascienza che vedeva nel futuro il progresso (come in Terminator), ad un’altra in cui persiste la nostalgia per l’umano, primi semi di una visione contemporanea in cui affiora la paura che il progresso smaterializzi l’essenza umana.
Stasera la conclusione del festival con il pomeriggio dedicato all’ultimo decennio, quello del Duemila: a partire dalle 18 il sociologo Alfonso Amendola offrirà la sua lettura sulla Generazione Z, seguito da Davide Navarria che parlerà di un cartoon per adulti come “Rick e Morty” e in conclusione Alessandro Lolli che affronterà come è mutato il concetto di fama dagli anni ’90 ad oggi.
Gran chiusura con l’ultima grande produzione, inedita, dedicata a Bob Dylan con il giornalista musicale e critico Carlo Massarini.
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