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Cultura Macerata

L'arte di reinventarsi, intervista a Daria Carpineti: la terra al centro della sua ricerca

L'arte di reinventarsi, intervista a Daria Carpineti: la terra al centro della sua ricerca

Una distesa di campi arati illuminata dal tiepido sole pomeridiano: è ciò che si intravede tra le tende dello studio di Daria Carpineti, vincitrice della XIV edizione del Premio Nazionale delle Arti nella sezione Decorazione

Non è difficile intuire quale sia l’elemento primordiale o deriva personale della sua ricerca: la terra.

Parlaci un po’ del tuo lavoro

"Innanzitutto penso che un artista non lavora mai scisso da ciò che vive, è un rapporto simbiotico in cui ciò che vivi, osservi, sperimenti, si riflette automaticamente in ciò che presenti. La scelta della terra proviene proprio da questo, perchè provengo da una famiglia contadina, e intorno a me vedo una distesa di materiale infinito: tanti colori, tante varietà da perdersi, e da qui è iniziata tutta la mia ricerca.

Ho avuto il supporto di manuali antichi come il Cennino Cennini, scritto nel Tredicesimo secolo, come di moderni testi di geologia, fino a trovare nella decantazione la tecnica ideale per estrarre il colore. Consiste nel riempire di terra dei grossi contenitori e attraverso più sciacqui con acqua demineralizzata e lunghi periodi di riposo permette la stratificazione del terreno, dal quale poi ricavo lo strato che mi interessa.

Le mie sperimentazioni riguardano terre locali, e nel corso degli anni ho creato un campionario tutto mio con il quale posso dipingere: dalla Terra di Montelupone, alla Terra di Potenza Picena, alla Terra di Treia bruciata per farne alcuni esempi.

Al di là dell’estrazione dei pigmenti la terra prima di tutto però, è materia: ho avuto la fortuna di assistere al restauro del Borgo di Villa Ficana, uno splendido borgo di case in terra cruda nei pressi del centro di Macerata trasformato in Ecomuseo, e ciò mi ha permesso di approfondire la ricerca sulle tecniche utilizzate sperimentando in prima persona attraverso una serie di lavori scultorei.

Si tratta di una tradizione antica ma molto diffusa in questa area, come testimoniano alcuni reperti a Corridonia, e fin da piccola ero affascinata dall’idea che l’uomo dalla terra potesse ergere e modellare la propria casa, che questa necessitasse di continua manutenzione altrimenti sarebbe ritornata dalla terra da cui proveniva.

La terra è un medium che parla da sé; è stratificazione del tempo e assorbe le impronte umane, come testimone delle nostri radici e di come le tradizioni ci uniscano e contraddistinguano allo stesso tempo".

Viviamo in un’epoca in cui il digitale ha preso sempre più piede, come ti poni di fronte ad esso?

"Riconosco che in questo particolare periodo sia indispensabile, perchè è l’unico mezzo al momento che permette di ricevere riscontri da altre persone; tuttavia è necessario secondo me non farsi assorbire completamente dal mondo virtuale, ricordando che è la materia ciò da cui veniamo e le nostre radici a dettare chi siamo.

Mi interessa in particolare l’aspetto del crocevia, un elemento che può essere considerato l’unione tra più strade e allo stesso tempo una diramazione di queste ultime verso altrettanti incroci. Se ora questi crocevia esistono a livello virtuale e si chiamano social network (e potremmo intendere l’intera rete web), fino a pochi anni fa erano le tradizioni locali a creare unione, ad esempio una serie di edicole votive sparse nell’intero territorio che diventavano pretesto di unione: è affascinante pensare come nel mese di maggio, dedicato alla Madonna, le persone raggiungessero l’edicola più vicina a casa alla stessa ora e pregassero dicendo le medesime parole che viaggiavano su tutte le vene della città, creando la connessione di un rito che si estendeva addirittura in tutta Italia. Posso affermare quindi che l’arte è un mezzo per inchiodare memorie".

Cosa sta significando per te questo periodo di chiusura? 

"Come per chiunque, bisogna ricalcolare tutto. Questo può essere considerato un punto zero per ricominciare da capo, sia nel pensare le cose che facciamo sia nel come agiamo, come realizzare i nostri progetti. Ho vissuto in prima persona la chiusura di una mostra causa covid lo scorso marzo: vi era uno spiazzamento generale e questo ha portato me, come molti altri, ad una certa chiusura iniziale dettata dall’incertezza, non si riusciva a capire nemmeno se si sarebbe trattato di una sospensione temporanea o che avrebbe comportato tempistiche più durature. 

Penso però che la comunicazione con l’esterno sia fondamentale, l’arte ha bisogno di essere divulgata tanto quanto l’artista necessita di un riscontro, una critica, che sia positiva o negativa. Per questo a livello di impostazione i miei progetti hanno anche un aspetto, una fruizione, a livello virtuale".

Quindi per te il “mondo virtuale” è un canale di comunicazione in cui reinventarti ma l’attaccamento al territorio è comunque centrale

"Penso che la creazione di spazi sia stata indispensabile, ma ora non basta più una foto in una mostra virtuale per comunicare con l’arte, deve essere pensata in maniera differente dal principio. Quello che si sta formando è una modificazione del concepimento dell’opera, definibile come “opera mista”, fruibile sia dal punto di vista materiale che digitale.

Potrei dire che sto andando parzialmente controcorrente, perchè tutto il tempo che si passa ora come ora attaccati ad un social network mi porta al contrario a fortificare l’attaccamento alla mia realtà, a vedere una ricchezza che altri non percepirebbero a colpo d’occhio, perchè sento nelle persone attorno a me svanire il ricordo di alcuni antichi riti che caratterizzano il nostro territorio. Il territorio è l’impronta di una storia e l’innovazione ha le sue radici nella tradizione, non dobbiamo mai scordarlo".

 

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