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Il "mesto" Otello ha dato il via alla stagione dello Sferisterio

Il "mesto" Otello ha dato il via alla stagione dello Sferisterio

Signori si comincia c’è Otello. Era ieri, 22 luglio, il gran giorno. Le 20.45. Me ne vado tosto verso l’Arena Sferisterio. Già le numerose auto rigorosamente in fila in corso Cairoli fanno intuire una presenza importante nella nostra tranquilla cittadina. Sono davanti all’Arena. C’è gente, tutti parlano, si salutano, sfilano, corrono per i biglietti o attendono semplicemente il momento più propizio per l’accesso. Signori c’è Otello!!!

Mi dirigo risoluto verso l’ingresso; le maschere mi accolgono molto gentilmente e con professionalità. Sono emozionato, varco la soglia, trovo il mio posto, mi siedo. Ancora c’è luce. Le mura emanano un po’ di calore, ma la leggera brezza, caratteristica del luogo, rassicura. La serata sarà perfetta.  E si… quando sussistono queste condizioni climatiche allo Sferisterio c’è una perfetta acustica che garantisce ed esalta anche la più tenue sfumatura. I ricordi vanno all’ultima rappresentazione di Otello qui a Macerata nel 1999 quando lavoravo come maestro sostituto. Vladimir Galouzine, nei panni di Otello, Lucia Mazzaria, Desdemona e Renato Bruson nel ruolo di Jago, direzione musicale M° Donato Renzetti. Ancora ho scolpite le parole di Bruson che alla domanda: “Maestro come si trova qui allo Sferisterio in questa produzione?” mi rispose con voce impostata: “Beh cosa vuole… (una lunga pausa) ho cantato Otello con Kleiber a Vienna”. Già Carlos Kleiber. Uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi.

Ricordo ancora durante le lezioni di direzione d’orchestra quante disquisizioni con colleghi e amici sull’attacco del primo movimento di Otello. Lo si batte in due? In quattro? Certo una bella diatriba per il Maestro concertatore. Scegliere l’uno o l’altro schema porta a conseguenze diverse. Kleiber lo fa in quattro. Ma non voglio tediare con tecnicismi per soli addetti ai lavori. Ora veramente tutto è pronto.

Dopo i titoli i ringraziamenti vari, gli interpreti, si spengono le luci. Otello è un’opera complessa ricca di particolari. Quattro atti lunghi, pieni di dettagli da evidenziare, richiamare e sottolineare con più o meno veemenza come suggerito dal testo o dalla tessitura orchestrale. C’è tanto di quel materiale da far tremare i polsi anche ad interpreti più che navigati.

Non mi soffermo sulla trama la si può facilmente trovare in internet. Vorrei solo sottolineare un aspetto, non perché io lo ritenga fondamentale, ma perché Verdi con il suo capolavoro definisce la propria concezione dell’opera. Ci ha impiegato una vita e un numero cospicuo di titoli prima di raggiungere un tale risultato.

Ho citato la tessitura orchestrale. Una tavolozza ricca di colori che amalgamati con sapienza producono altrettante molteplici sfumature. Questo è molto accattivante e stimolante per ogni orchestra che vede esaltati tanto l’insieme quanto i singoli strumentisti. Otello è in repertorio anche in orchestre (penso ai Berliner Philharmoniker) che notoriamente si dedicano quasi esclusivamente alla musica sinfonica. Nell’inizio dell’opera emergono proprio queste caratteristiche, dalle quali si evince il grado di maestria del grande Maestro nella gestione delle masse orchestrali, corali e dei solisti. C’è l’uragano il mare in tempesta i venti e i flutti che insidiano la nave di Otello. L’orchestra è protagonista con i solisti e il coro. Si fa musica insieme. Per quanto possa essere difficoltoso Verdi impone di far musica insieme. Il che non significa andare solo a tempo tutti insieme, ma cooperare per il raggiungimento del miglior senso interpretativo che possa giustificare una qualunque ripresa di Otello. Tutto questo è stato percepito in modo troppo sfumato anche nelle intenzioni. Forse nella realizzazione di questi capolavori sarebbe necessario un maggior numero di prove, ma capisco i costi, la crisi, i cento mecenati ecc., ecc.

In mancanza di questa chiave di lettura procederò per compartimenti stagni. Così.

L’organico orchestrale è sbilanciato. I violini non si sentono. L’ho notato sia al concerto in onore di Anita Cerquetti nel 2014 (dove l’orchestra suonava sul palco) sia, ieri, con l’orchestra in buca. Sembra suonino col freno a mano tirato. E pensare che la compagine è caratterizzata dalla presenza di  strumentisti di grande spessore le cui qualità però si perdono al momento della concertazione, dell’insieme. Forse il problema non è da ricercare nelle pieghe musicali, ma in questioni organizzative. La gestione di un’orchestra non è cosa da poco ed appannaggio dell’ultimo arrivato.

Il coro è preciso, canta intonato e forte, fin troppo forte e sempre forte. Nel famoso “Fuoco di Gioia” (I atto) in partitura abbiamo un Fortissimo (due effe) e anche dei piano completamente disattesi. Nel II atto il Bellini, dietro le quinte (Verdi scrive in scena pianissimo) nonostante l’espediente per far sentire il coro dei piccoli, tanto teneri e commoventi, ha rischiato seriamente di coprirli tanta la veemenza nel cantare il “Dove guardi splendon raggi”. Il cantare piano non è segno di debolezza, ma semmai di grande maestria nel gestire la voce.

Passiamo ai solisti: Otello (Stuart Neill) penso non sia stato in serata e purtroppo se non si è al meglio questa parte è veramente impietosa anche per cantanti di un certo calibro.; Jago (Roberto Frontali) è stato bene in scena e ha dato una buona caratterizzazione al personaggio reagendo da cantante navigato anche al piccolo vuoto di memoria del II atto; così pure Desdemona (Jessica Nuccio) forse il non applauso alla fine dell’Ave Maria del IV atto è più dovuto all’ignoranza del pubblico che a una interpretazione insufficiente; Bene anche gli altri interpreti (Roderigo-Manuel Pierattelli, Lodovico-Seung Pil Choi, Montano-Giacomo Medici, Araldo- Franco Di Gerolamo) su cui spiccano Cassio-Davide Giusti e  Emilia-Tamta Tarieli; Il direttore d’orchestra (Riccardo Frizza) ha ben cercato di colmare lo squilibrio accennato in precedenza, ma è difficile dipingere la volta della Cappella Sistina con un celestino a posto del blu. A volte i solisti, nei quartetti rischiavano di coprire l’orchestra. Cosa piuttosto anomala; Una valutazione più che positiva per la regia e le scene di Paco Azorìn sempre funzionali, snelle e mai superflue.

Spesso ho alzato gli occhi in alto: il fantastico cielo sopra lo Sferisterio non smette mai di nutrire l’anima. Alla fine gli applausi ci sono stati anche se non in modo scrosciante e tutti siamo usciti in silenzioso ordine e un po’ storditi. Signori c’è Otello!!! Rispetto!

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