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Rimpatrio-lampo dopo il video virale, ma il giudice ferma Piantedosi: Ngwang resta in Italia

Rimpatrio-lampo dopo il video virale, ma il giudice ferma Piantedosi: Ngwang resta in Italia

MACERATA – Rimpatrio bloccato. La decisione firmata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è stata stoppata dal giudice Alessandra Filoni della Corte d’Appello di Ancona, che ha accolto il ricorso della difesa del calciatore camerunense Ibii Ngwang, 27 anni, ex attaccante della Cluentina, finito al centro del caso mediatico per un video offensivo girato davanti alla questura di Macerata.

Doveva essere un'espulsione lampo, prevista dal decreto sicurezza e giustificata dal presunto “profilo di pericolosità sociale”. Invece si è trasformata in un dietrofront clamoroso per il Viminale. Il giudice ha infatti ritenuto infondata la valutazione di pericolosità alla base del provvedimento: “Mancava il requisito essenziale della pericolosità”, ha spiegato accogliendo la linea degli avvocati Sonia Savi e Olindo Dionisi.

Nel video, Ngwang – occhiali da sole, cappello calato in testa, e la questura sullo sfondo – si lasciava andare a frasi volgari e provocatorie rivolte alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al vicepremier Matteo Salvini, arrivando anche ad alludere alla figlia della premier. Il filmato, diffuso dallo stesso Salvini sui social, aveva suscitato una forte ondata di indignazione.

Dalla condanna pubblica si era passati subito all’azione amministrativa: la Digos lo aveva rintracciato, identificato e denunciato insieme a un amico, autore del video. Poi la firma del ministro per il rimpatrio immediato. Ngwang, titolare di un permesso di lungo soggiorno, era stato prelevato e portato negli uffici del commissariato di Civitanova in attesa dell’udienza. Ma il giudice ha detto no.

“Le mie parole – aveva scritto il 27enne in una lettera di scuse – sono frutto ingenuo di una serata con amici. Ho commesso una gravissima leggerezza, riprendendo il testo di un brano rap per rovesciare stereotipi. Non era mia intenzione offendere”.

 

Alla fine, a prevalere è stata la valutazione giuridica e non quella politica: secondo la Corte, non ci sono elementi sufficienti per qualificare il giovane come soggetto socialmente pericoloso. Una sentenza che sconfessa il provvedimento del ministro e ridimensiona la portata dell’intervento d’urgenza.

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