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Pasta e tradizioni marchigiane, riconoscimento internazionale all’Accademia Georgica e al ricercatore Sergio Salvi

Pasta e tradizioni marchigiane, riconoscimento internazionale all’Accademia Georgica e al ricercatore Sergio Salvi

Il Museo nazionale delle paste alimentari di Roma e San Francisco, ente istituito dalla Fondazione “Vincenzo Agnesi” con l’obiettivo di “favorire la conoscenza e la valorizzazione della pasta italiana nel mondo”, ha istituito anche per il biennio 2016/2017 una serie di riconoscimenti internazionali con la finalità di favorire la conoscenza e la valorizzazione della pasta alimentare italiana e l’educazione all’apprendimento del valore nutrizionale di questo tipico cibo nazionale che può contribuire ad alleviare il problema della fame nel mondo, ponendo un’attenzione particolare anche agli studi di studenti e laureati volti a migliorarne la conoscenza nel mondo e alla comunicazione rivolta al mercato dei prodotti dell’industria pastaria ed agroalimentare.

La cerimonia di premiazione, come da tradizione, si è tenuta mercoledì 21 marzo nello storico Teatro Salone Margherita “Il Bagaglino” di Roma, alla presenza di numerose autorità ed ospiti d’onore.

Giunto alla XXI edizione, il “Premio internazionale del Museo” ha visto protagonista – per la sezione Mercato-Editoria – il progetto di ricerca sul rischio di estinzione dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) delle Marche con l’attribuzione di un trofeo in argento all’Accademia Georgica di Treia, quale casa editrice, e al Dott. Sergio Salvi – biologo, ricercatore e cultore di storia dell'agroalimentare – quale autore dello studio.

Promosso dall’Accademia Georgica, con il forte sostegno della Camera di Commercio di Macerata, lo studio è stato affidato al dottor Sergio Salvi, con la finalità di tutelare quel patrimonio tradizionale locale che questo particolare momento di globalizzazione alimentare mina anche nelle conoscenze delle giovani generazioni. Oggi che l’economia agricola è inserita in un mondo industrializzato dove il luogo di confronto non è più il mercato locale o nazionale ma quello europeo e mondiale, il prodotto tipico, frutto di particolari tradizioni, legato a luoghi di produzione con caratteristiche del tutto peculiari, a maggior ragione deve sopravvivere.

L’aspetto fondamentale che lo studio ha inteso indagare è quello relativo allo “stato di salute” che caratterizza ciascuno di questi prodotti sul piano economico-commerciale. La stabilità commerciale rappresenta una nozione irrinunciabile da conoscere per poter comprendere la reale consistenza di questi prodotti, ma essa non è mai stata inclusa nelle schede descrittive dei Pat né fatta oggetto di valutazione e di monitoraggio periodico. È palese che un “prodotto tipico” sopravvive non perchè si fregia di una “intoccabilità” derivante dall’essere “tipico”, ma solo se possiede un proprio mercato, seppure di nicchia, che lo mantiene in vita. Da qui l’interesse a svolgere uno studio sul rischio di estinzione potenziale a cui questi prodotti – peraltro non protetti né pubblicizzati da marchi di origine o di qualità – sono esposti.

La questione appare rilevante soprattutto per quei PAT – e solo nelle Marche ne sono stati individuati almeno 24 su un totale di 151 – che appaiono dotati di peculiarità genetico-biologiche tali da unire, ad un’eventuale scomparsa del prodotto per carenza di mercato, anche la perdita di biodiversità, un rischio che di certo non corre una banale focaccia preparata con l’acqua e la prima farina che capita tra le mani.

L’analisi finale parla chiaro: i prodotti agroalimentari tradizionali marchigiani a rischio di estinzione (se non già di fatto scomparsi, pur continuando ad essere mantenuti artificialmente in vita nell’elenco) sono 12 (pari all’8%), mentre ben un prodotto su tre presenta un’affermazione economico-commerciale di tipo borderline: vivacchia, cioè, camminando in equilibrio sull’orlo del baratro, con un mercato che da un momento all’altro – magari complice la chiusura dell’unica azienda che lo produce e lo vende – può decretarne lo sprofondamento nel burrone. Tuttavia, il mercato di ciascun prodotto borderline potrebbe anche decollare previo opportuno investimento in termini sia economici che di idee imprenditoriali capaci di riproporlo e valorizzarlo adeguatamente.

Infine, vi è l’aspetto forse più interessante emerso da questo studio, ossia le molteplici chiavi di lettura della complessa realtà dei prodotti agroalimentari tradizionali. Queste chiavi di lettura, tanto per fare qualche esempio, raccontano di prodotti che spariscono dai territori, ma anche di “territori che spariscono dai prodotti” (come nel caso del Marrone del Montefeltro, una varietà di castagna che, di fatto, non può più dirsi marchigiana da quando il territorio dell’Alta Valmarecchia, dove è dislocato il nucleo produttivo del Marrone, è passato sotto la provincia di Rimini a seguito di referendum popolare nel 2009, lasciando alle Marche solo gli alberi sparpagliati nell’entroterra montano). Raccontano pure del ruolo di alcune aziende che, uniche a promuovere certi prodotti, assurgono anche al ruolo di depositarie di una cultura agroalimentare anch’essa a rischio di estinzione. Ma parlano anche di altre aziende che potrebbero nascere se solo si traesse l’ispirazione da chi, operante nelle regioni confinanti, sta tuttora puntando su business basati su prodotti pregiati comuni anche al patrimonio agroalimentare tradizionale delle Marche (perché gli altri sì e noi no?).

Il messaggio finale della ricerca, che potrebbe essere esteso anche alle altre regioni, è il seguente: meno PAT – ma più specifici – e più monitorati sul piano economico-commerciale. L’auspicio è che una riforma di questo particolare gruppo di prodotti serva a dare seguito a quella promozione e diffusione delle produzioni agroalimentari italiane tipiche e di qualità, agganciata alla valorizzazione del patrimonio culturale, artigianale e turistico, che la legge istitutiva dei PAT si proponeva di perseguire.

A conclusione del progetto di ricerca l’Accademia ha pubblicato un volume con i risultati dello studio, distribuito gratuitamente a chi ne fa richiesta, grazie anche al contributo di aziende e operatori vicini al settore quali la Banca di Filottrano, la CNA – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa – di Macerata, la Copagri – Confederazione Produttori Agricoli – delle Marche e l’Azienda Agricola Si.Gi. di Macerata: un’importante e fattiva collaborazione tra soggetti pubblici e privati da sottolineare per la salvaguardia del patrimonio culturale tra cui rientrano a pieno titolo anche i nostri prodotti agroalimentari tradizionali.

I risultati della ricerca sono stati ufficialmente presentati nel dicembre 2016 in un evento realizzato presso e in collaborazione con l’Istituto di Istruzione Superiore “Giuseppe Garibaldi” di Macerata e con il patrocinio della Coldiretti di Macerata, della Città di Treia e della Regione Marche. 

 

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