È uscito il nuovo libro: "Il pittore della scrittura - Dipinti, Storie, Poesie" di Marcello Mogno, edito da BraviEdizioni. Di seguito la critica letteraria del poeta e scrittore Guido Garufi.
"La scrittura di Marcello Mogno è apparentemente sperimentale, non appartiene, come si potrebbe pensare ad una lettura veloce, agli irti e funambolici laboratori della avanguadia ortodossa del Gruppo ’63 e dintorni, scrittura giocata si sulla alterazione dei lemmi, sulla spaziatura, ma, in sintesi, senza musica e “richiamo memoriale”, tutta piegata nella introflessione in parte fine a se stessa e senza “eco”. Direi, in altre parole, che solo Elio Pagliarani potrebbe\ può gemellarsi con le torsioni che Mogno imprime ai sui testi. Torsioni che non perdono la bussola, la direzione,e, in ultima analisi, la faccia semantica, il “concetto”, l’ orizzonte del senso. Voglio dire che sia Pagliarani con La ragazza Carla che Mogno sanno bene cosa dicono e, più di tanto, non vogliono ( eticamente) spiazzare il lettore, ad esso si riferiscono e con lui interloquiscono, per un messaggio che non sia vaporizzato dalla cannabis o dall’eccesso di “elucubrazione”. E questo non è poco giacché mi sembra una onesta premessa per trovare, come si dice degli amori, il libro di riferimento tenuto di notte sul comodino.
Se ci penso suppongo che Carlo Emilio Gadda costituisca un riferimento sicuro e certo. Intanto una questione non secondaria: Mogno attraversa con i suoi testi non tanto o solo la materia poetica, quasi, satellite, in verità, piuttosto punta ad una prosa narrante che non teme l’avventura del deragliamento verso la filosofia o l’estetica, per aforismi e contratte argomentazioni. In tale direzione ho in mente, nella poligrafia gaddiana, un libello poco letto, Meditazione milanese, trattatello quasi filosofico con “invasioni barbariche” su Kant o Spinoza, ad esempio. Dico dell’eclettismo di Gadda che noi conosciamo per l’opera principe, se lo è, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Ed e qui che mihi videtur Mogno. Si può fare un esperimento di lettura a proposito di Marcello, leggere, senza farsi impressionare, Pelle, palla, pollo, nel suo continuum, senza sosta, senza badare con l’occhio al trabocchetto che l’autore inietta tramite le interpunzioni e i “tagli” sulla materia viva della lingua. Essa diventa non tanto un corpo sezionato, un atlante anatomico dove appaiono, spezzate, le membra, quanto, invece, un corpo unico, o meglio ancora il corpo appare nella sua unità grazie alla velocità di cui la prosa, magicamente, è dotata, quasi conferendo una andamento polifonico e corale. Lo stravolgimento, il neologismo, la paratassi, l’accelerazione ( anche qui Pagliarani), producono, in definitiva, una lingua parodica e persino “crepuscolare”. Noto, ad esempio, il “gusto” del ridimensionamento, il rimpicciolimento capace di mimare la balbuzie dell’infanzia, le lallazioni ( ma quanto dobbiamo a Pascoli, spesso, mi chiedo...), la celebrazione, allora, di fonèmi, di piccolissimi iati e fiati e insieme una “scossa”, una “energia” .Nel suo “romanzo” Mogno tutto include e inghiotte con una complessa ricchezza che diventa, con quella velocità\voracità, una ricchezza pantagruelica. Irrisione, ironia, distruzione e ricostruzione che tenta, ancora, una residua leggibilità del mondo. Lo stesso mondo e la storia, vittime del Dominio e della brutalità. E, come per Gadda, forse si può dire per il nostro autore, che, dopotutto anche la sua non è altro che una Cognizione del dolore".
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