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La battaglia di Chiara: "Ecco come ho sconfitto l'anoressia"

La battaglia di Chiara: "Ecco come ho sconfitto l'anoressia"

L'anoressia è una brutta bestia che divora le giovani donne del nostro tempo, spesso neanche si vede nel suo insinuarsi profondo di chi ne soffre. Scientificamente è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dal rifiuto del cibo, che nasce per la paura morbosa di ingrassare.

La caparbia volontà di mantenersi sotto un peso normale, comunque percepito come eccessivo, conduce allo sviluppo di una repulsione ossessiva nei confronti del cibo che dilaga fino a scatenare i sintomi fisici dell'anoressia conclamata: peso corporeo sotto i limiti di normalità (inferiore all'85% del peso ideale, BMI inferiore a 1,75 kg/m2), magrezza francamente patologica, bassa temperatura corporea, bradicardia, fragilità di unghie e capelli, osteopenia, alopecia, riduzione del volume del seno, ipotensione, pelle secca, aspetto debilitato/cachettico, ritardi mestruali e amenorrea (ritardo di almeno tre cicli mestruali consecutivi).

Chiara è una ragazza di Montecassiano, ha compiuto 18 anni da qualche mese e ha una grande forza nata proprio da questo non sentirsi bene, non essere mai all'altezza che tre anni fa l'ha trascinata nel baratro dell'anoressia. Questa è la sua storia, queste sono le sue parole con la speranza che siano di aiuto e conforto per le altre ragazze e le famiglie che lottano come ha fatto lei:

"Tutto iniziò per la paura di esser di troppo. Ho perso il controllo di me stessa senza neanche accorgermene. Ero pallida e mi dimostravo nervosa; le mie mani erano sempre arrossate, avevo sempre freddo, l'aspirazione a essere perfetta mi portava ad avere successo, nonostante la mia debolezza fisica. Ho limitato sempre di più la mia alimentazione fino al minimo necessario: frutta e poco più.

Il primo mese la mia malattia non si notava al primo sguardo, ero la solita studentessa, praticavo molto sport e passavo i miei pomeriggi a cucinare per la mia famiglia. Se qualcuno parlava del mio comportamento insolito, diventavo sempre più aggressiva cercando di interrompere il discorso, cambiandolo totalmente. Mia madre sperava che quest'ossessione fosse soltanto temporanea, mentre mio padre non aveva nemmeno capito di cosa si trattasse. Pesavo 37 kg, pressione sempre bassa e battiti del cuore sempre al minimo.

Arrivai ad un punto dove chiesi aiuto a mia madre dicendo di non riuscire a curarmi da sola, quando lei stessa, nel frattempo, aveva già programmato un mio ricovero. Venni ricoverata agli inizi di giugno, appena ritornai da un viaggio, al Salesi di Ancona. Ricoverata d'urgenza con battiti del cuore a 20. Passai più di 40 giorni dentro la clinica. Accettai subito il mio ricovero, perché sapevo che da sola non potevo farcela, però solo alla condizione che venissi curata senza medicine, ma solo con la forza di volontà. Giorni di paure, di ossessioni, di confusioni mentali, aghi, flebo, sondino, sala rianimazione... E chi più ne ha più ne metta.

Ora che ho 18 anni posso ammettere che quei 35 giorni sono stati i più lunghi della mia vita; fortunatamente trovai delle infermiere, dei tirocinanti che riuscivano a capire tutto ciò che stavo passando, tutto ciò che avevo dentro e riuscivano a capirmi anche con un solo sguardo; era anche un modo per far sì che loro anche con un piccolo gesto potevano aiutarmi. Riuscii a recuperare più della metà del mio peso, fin quando non arrivò il 17 luglio, dove la dottoressa decise che potevo lasciare il ricovero, perché aveva visto che ero una ragazza al quanto forte e che avevo tutta la forza necessaria per continuare il mio percorso di ripresa anche al di fuori.

Tuttora, nonostante siano passati tre anni, sono seguita dalla psicologa e dalla nutrizionista, ma la cosa che mi fa alquanto piacere è che le infermiere e tutte le ragazze tirocinanti, ancora oggi chiedono di me. La forza del venirne fuori dalla mia malattia è stata mia madre e le mie due migliori amiche, le quali facevano ore e ore di corriera per far sì che non stessi neanche un solo minuto da sola. Avevamo anche formulato un motto, il quale ripetevo ogni minuto di quei giorni: "Dai Chià, non mollà". Nonostante tutto posso ammettere che la mia malattia mi è servita per crescere, per capire molte cose; vorrei poter aiutare tutte quelle ragazze che ora stanno passando tutto ciò che ho passato io per dirgli soltanto alcune parole: che non serve a nulla star male per chi ci circonda, ma viviamo questa vita piena di felicità. Ormai sono passati tre anni e posso ammettere che ripensando a ciò ho le lacrime agli occhi , ma ancora penso alla mia frase, al mio motto che ora ho anche inciso sul mio polso: Dai Chià, non mollà".

Ora Chiara sta bene, ha ripreso in mano la sua vita con le amiche e tutta la bellezza dei suoi diciotto anni, ma per lei è diverso, lei sa quanto fa male a volte la vita: "L’anoressia porta allo scoperto quello che fa male dentro: la paura, il vuoto, l’abbandono, la violenza, la collera. È un modo per proteggersi da tutto ciò che sfugge al controllo. Anche se a forza di proteggersi si rischia di morire."

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