Crisi del gas, la nuova soluzione di Draghi è razionare i consumi degli italiani per il prossimo inverno
“Un’estate fa….” eravamo già a corto di gas. Chiedo venia agli estimatori di Franco Califano, e per aver scomodato una simile perla della canzone italiana d’autore. La stagione attuale, però, un po’ lo esige; e ad essere onesti, anche le prospettive che ci attendono nel prossimo inverno, non proprio così rosee.
Basti considerare che per il terzo semestre del 2022 le stime di Nomisma Energia hanno appena confermato un nuovo aumento delle bollette di luce e gas: le prime del 17% e le seconde di ben il 27%. “Un aumento importante – ha spiegato in un'intervista il presidente Davide Tabarelli – causato dalla decisione del 16 giugno da parte della Russia di tagliare le forniture a Germania e Italia”. Tradotto: il prezzo sui consumi della luce aumenterà di 194,4 euro (in base ai 2.700 kWh all’anno di una famiglia tipo), mentre quello del gas arriverà fino a 462 euro (secondo 1.400 mc all’anno per nucleo famigliare).
Eppure il governo italiano ci ha assicurato di stare correndo ai ripari, al netto dei pacchetti di sanzioni al Cremlino che si ostina a promuovere insieme al resto della compagine Ue (oltre all’invio costante di armi all’Ucraina, s’intende). La prima delle soluzioni, come già dichiarato negli ultimi mesi e in più di un vertice del Cdm dal premier Mario Draghi, è il riscatto dal gas russo tramite nuovi accordi con altri fornitori. Il tutto, affidandosi alla diplomazia dei ministri Luigi Di Maio e Roberto Cingolani e del capo dell’Eni Claudio Descalzi.
Ma chi sono questi nuovi fornitori? Tutti amici della Russia, in primis. L’Algeria, ad esempio, ha promesso a Draghi (dopo l’11 aprile) di aumentare la sua quota di fornitura fino a 30 mld di mc di gas. Ma va considerato che il presidente Abdelmadjid Tebboune oggi è uno dei più forti alleati di Mosca nel Maghreb: non a caso, l’astensione dell’Algeria dal condannare – come richiesto dall’Onu – la famosa “operazione speciale” nei confronti dell’Ucraina, è valsa alla stessa un condonato di 4,7 miliardi di debito in cambio dell’accesso privilegiato ai russi su alcune esportazioni. Oltre al fatto che le aziende Gazprom e Sonatrach sono già legate da un recente memorandum d’intesa.
La missione italiana ha quindi proseguito, fino a maggio-giugno, per Libia (3 mld di mc), Congo ex francese (5 mld di mc), Angola (oltre 4,5 mld di mc di GNL), Egitto (appena 1mld di mc di GNL), Azerbaigian (7-10 mld di mc), Kazakistan (2 mld di mc) e infine Qatar (8-9 mld di mc). Secondo un prospetto che – a voler essere ottimisti – potrebbe effettivamente compensare l’affrancamento dalle riserve di Putin. Ma tra il dire e il fare, c’è di mezzo una guerra dagli esiti geopolitici ancora incerti.
Nessuno dei Paesi elencati, poi, è sicuramente da considerarsi un campione di democrazia (c’è chi non nasconde le proprie simpatie filo-sovietiche, e chi magari ancora non ha pagato per la morte di Giulio Regeni), ma questo non sembra costituire un problema per le urgenze nostrane: ci penseranno le varie formule di cooperazione industriale "do ut des" a sopperire, anche alla coscienza sporca.
E quali soluzioni, invece, nel breve-medio periodo? Incremento della produzione nazionale, dal carbone alle nuove perforazioni nell’Adriatico (con buona pace della transizione ecologica), e razionamento del gas nelle case, nelle aziende e negli uffici, soprattutto nella prossima stagione invernale. Ma se nel primo caso i rallentamenti burocratici saranno inevitabili, nel secondo possiamo pure cominciare a metterci l’anima in pace e a vestirci pesante in vista del freddo. Coscienti del fatto che, contemporaneamente, continueranno a lievitare anche i prezzi dell’energia elettrica: fino a due anni fa, l’Italia raggiungeva quasi l’83% del totale termoelettrico grazie proprio al gas naturale in larga parte importato.
E dire che già nel settembre del 2021 (e qui torniamo all'incipit "canoro" di questo editoriale), analisti e dirigenti di aziende si erano messi in allarme sugli aumenti del prezzo del gas, sebbene al tempo fosse stato individuata nella transizione ecologica la causa principe. Solo in un secondo momento si è dovuto ammettere che il problema fosse il calo – ai minimi storici dal 2013 - delle riserve in tutta Europa: un po’ per il forte consumo nelle case durante le fasi più acute della pandemia, e un po’ per la minore produzione di eolico, la chiusura di alcune centrali a carbone, la mancanza di alternative valide.
Quello che sappiamo con certezza, è che l’Italia si trova oggi scoperta per due terzi del proprio fabbisogno energetico, tamponati dalle importazioni: e determinando, per forza di cose, maggiori difficoltà nel tenere sotto controllo i prezzi in generale dell’energia. Nel frattempo, la Russia può dormire sonni tranquilli: a dispetto delle sanzioni, la soluzione è incrementare l’esportazione di gas verso i paesi asiatici, a cominciare dalla Cina. Quest'ultimma, particolarmente interessata ad accrescere le proprie riserve, indipendentemente dagli esiti della guerra.
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