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Civitanova, presentazione del libro “Trilogia dell’acqua” di Andrea Lanfranchi: il pesce come metafora della condizione umana

Civitanova, presentazione del libro “Trilogia dell’acqua” di Andrea Lanfranchi:  il pesce come metafora della condizione umana

Che novanta persone, di venerdì sera, si ritrovino per la presentazione di un libro di poesie sul mercato ittico ha già qualcosa di fuori dal comune.

Se poi si aggiunge che il mare, i pescatori, i pesci non sono pretesto per il solito quadretto di genere, urlato in versi dialettali, ma, come dice l’autore, «questo ragionare sul destino dei pesci ci proietta metaforicamente all’esperienza umana, e all’imperante interrogativo sul mistero dell’esserci», allora la cosa assume un aspetto di piacevole sorpresa. Metteteci, infine, che uno dei marinai raccontati nel libro, pescatore civitanovese verace e purosangue, è un divoratore di letteratura russa, da Dostoevskij a Tolstoij, ecco che siamo davanti ad un volto della nostra città ancora tutto da scoprire e da valorizzare.

Questo e tanto altro è quello che, dalle pagine in versi di un libro piccolo (ma solo nel formato), è venuto fuori, l’altra sera, nella sala convegni del Banco marchigiano, dove Andrea Lanfranchi, su invito dell’Associazione dantesca civitanovese e con il patrocinio del Comune, ha presentato il suo ultimo libro di poesie “Trilogia dell’acqua”. Una presentazione impreziosita dal video di Andrea Gentili, dalle foto di Peppa Bartolucci, dal violino di Alessandro Petroselli e dalla voce recitante di Mattia Bartolini.

Davanti ad una novantina di persone, Andrea, architetto civitanovese, trasferitosi a Fermo per motivi di lavoro, ha raccontato la sua esperienza di un anno da scalante, nel 1999, presso il mercato ittico cittadino (doveva pagarsi l’università). Le suggestioni di quei mesi sono fermentate per anni e poi hanno visto la luce sotto forma di versi. Non è un diario, il libro, né cronaca distaccata: volti, ambienti, oggetti, atmosfere, avvenimenti sono concreti fino ad un realismo fotografico, ma non c’è un soffermarsi compiaciuto sui particolari. I versi ti introducono nella realtà ma non se ne resta impigliati. C’è odore di morte, al mercato ittico, al crepuscolo.

Ma la morte non dice l’ultima parola. «Gli sguardi vitrei dei pesci – ha spiegato Andrea – sembrano fissare i loro interlocutori, primo tra tutti chi trasporrà in versi il racconto della loro fine e vedrà in essi, come in uno specchio, un riflesso del proprio destino di uomo». Però, in una cassa, “l’arrancare nel vuoto delle canocchie sopra un Golgota animale” sembra «quasi voler graffiare lo sguardo muto di Dio, sottolineando, nell’angoscia dell’imminente fine, la forza del desiderio di una risposta sul senso del proprio destino». Per Andrea, qui «Il pesce è pienamente metafora sia della condizione umana sia dell’attimo di estremo dolore provato da Cristo nei suoi ultimi istanti sulla croce, inchiodato al suo destino, come ogni uomo. Sta poi al lettore credere o meno a una possibilità di salvezza, a che tutto, anche il dolore e la fine possano avere un senso – credere o meno che così come per Cristo vi sia la possibilità della resurrezione».

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