A vegliarlo per giorni c’è stata la sua chitarra. E basta. Quella chitarra che, quasi come in una metafora rovesciata, lui sapeva far vivere come pochi altri. Fabrizio Farinelli è morto così, da solo, dentro un appartamento che aveva affittato dalle parti di Piazza Valtieri, a Tolentino. A 58 anni.
Lo conoscevano in tanti, ancora di più sono quelli che lo ricordano negli anni dei gruppi rock locali, ma che da giorni non si facesse vedere in giro non si era accorto quasi nessuno. Se non il proprietario di quella casa di piazza Valtieri. E’ stato lui, che da qualche giorno lo cercava, a dare l’allarme.
Fabrizio, stando a quanto è dato sapere, era disteso a letto, senza vita già da giorni. Forse settimane. Sul suo telefonino, l’ultima chiamata effettuata risale all’ultimo giorno di aprile. Probabilmente è stato colpito da un malore e vengono escluse, almeno per ora, altre eventuali cause. Aveva 58 anni. E li aveva dedicati tutti alla musica. Era il suo talento, era il suo sogno. Ma non sempre, soprattutto quassù tra le curvilinee colline della provincia, si ha la possibilità di mostrarlo il talento. E spesso si finisce con l’esibirsi per pochi, fino ad esibirsi, talvolta, solo per se stessi. Forse Fabrizio aveva sofferto proprio questo, spostando nel tempo la sua esistenza ai margini, con garbo e senza dare fastidio. Lasciandosi alle spalle anche qualche errore, con dignità, ma sempre in solitaria. Mite. Dolcissimo. Arreso.
Poi, imbracciata la chitarra, cambiava tutto. Quello strumento era, di fatto, un filtro di espressione e la musica un mondo dove continuare a far vivere, questa volta non ai margini ma proprio al centro, il sogno che ha accomunato tanti. Non è un caso se, oggi, il commento più ascoltato a Tolentino e dintorni, è stato questo: “Fabrizio mi ha fatto conoscere il Rock”.
Perché anche il Rock, persino il Rock, da queste parti ci è arrivato dopo. E Fabrizio e quelli come lui hanno rappresentato per questo territorio il megafono di una cultura, di musica e di vita, che ha avuto i bar di paese come stadi da concerto e che, pur tra mille diffidenze provinciali, oggi appartiene alla storia personale di tutti noi.
Jimmy Page, i Led Zeppelin, i Pink Floyd. Insomma, gli interpreti di quel Rock sviluppato e impegnato che hanno rivoluzionato il modo di pensare, hanno, di fatto, avuto bisogno del chitarrista del paese. Ecco, a chi pensa che con Fabrizio se ne sia andato uno “sconfitto”, possiamo rispondere così. Ricordando che quella chitarra che lui sapeva far vibrare è stata per noi una finestra su un mondo che, altrove, era già cambiato e che quassù tra le colline stava solo cominciando a farlo.
Gli “sconfitti” sono altri. O lo siamo tutti. E allora, nel giorno dell’addio a Fabrizio, rimane un pensiero o, per chi crede, una preghiera; prendendo, però, in prestito le parole di Ivan Graziani, un altro grande della musica che se ne è andato presto: “Signore, è stata una svista, abbi un occhio di riguardo per il tuo chitarrista!”.
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