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"Chi l'ha visto?": verso la sparizione del ceto medio italiano

"Chi l'ha visto?": verso la sparizione del ceto medio italiano

di Jacopo Tasso

La fiducia verso il futuro economico e sociale italiano sta pian piano svanendo e l’ottimismo si raffredda.

Nonostante i governi cerchino di rassicurarci guardando a ogni minimo cambiamento percentuale positivo e a lievi miglioramenti dell’economia e del mercato del lavoro, il clima e il morale degli italiani non è sicuramente sereno.

Lo testimoniano infatti i dati dei sondaggi della Demos-Coop sulla percezione sociale che i cittadini hanno di loro stessi e sulle speranze verso il futuro. Due italiani su tre affermano che "è inutile fare progetti per sé e per la propria famiglia poiché il futuro è incerto e pieno di rischi”.

Negli anni precedenti questo pensiero accomunava il 55% degli italiani, oggi invece la percentuale è più alta di ben 7 punti.

Ci siamo abituati e rassegnati al corso della storia, il nostro tempo non è di ribellione, ma di delusione e di rassegnazione per quella che sembra una situazione immutabile anche se ovviamente non di nostro gradimento. Un altro dato è la consapevolezza della perdita di posizione sociale: lo scivolamento nella scala di classe. Nel 2006 coloro che si identificavano con il ceto medio erano il 60%, invece oggi la metà degli italiani (54%) ritiene di far parte di una classe sociale medio-bassa, quando nel 2011 la percentuale era di 12 punti inferiore. Questa tendenza è in crescita, e,  allo stesso tempo, diminuisce il numero di coloro che si identificano nella fascia media, oggi pari al 39% della popolazione mentre solo l’anno scorso si attestava al 45%.

I numeri poi aumentano quando si analizza la situazione economico-sociale di coloro che già si attestavano sulla zona medio-bassa, cioè pensionati e operai. Tra loro la percezione di scivolamento sociale è aumentata del 17% negli ultimi anni fino ad arrivare al 65%. Due operai su tra si sentono ai margini della struttura sociale, quasi ai livelli della rivoluzione industriale.

Le cause di questo fenomeno sono sicuramente molte e varie, ma quella forse più importante è la mutata distribuzione della ricchezza negli ultimi anni. Nel nostro Paese, osserva l'Ocse, l'1% della popolazione detiene il 14,3% della ricchezza nazionale netta: il triplo rispetto al 40% più povero che possiede appena il 4,9%.

L'avvento della crisi economica ha peggiorato soltanto la situazione. A farne le spese sono stati principalmente le fasce medio-basse e basse della società. Nel periodo compreso tra il 2007 e il 2011, infatti, la perdita di reddito disponibile è stata più marcata per il 10% più povero della popolazione rispetto al 10% più ricco (- 4% contro - 1%). Nei sei anni della crisi economica, si è verificato un aumento della percentuale di famiglie che si trovano al di sotto della soglia di povertà passata dal 18 al 25%. Ad oggi sono 15 milioni le persone che si trovano in questa condizione. Erano 11 milioni, prima della crisi.

La mancanza di speranza e di prospettive future, unite ad una più pragmatica diminuzione della ricchezza delle famiglie, fa si che il morale degli italiani  non possa far altro che essere tendente al pessimismo. La frattura di classe percepita che tenderà ad aumentare e l’immutabile fenomeno per cui i ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri genera il clima delusione e rassegnazione generale in cui verte il paese e, nonostante tutto, non sembra esserci ombra di ribellione poiché tutto sommato si sopravvive ancora abbastanza bene. Pratichiamo "l'arte di arrangiarsi", della quale, in Italia, siamo tutti maestri, tuttavia, il problema esiste e tenderà a riprodursi fino a divenire patologico.

D'altronde, si tratta di una tendenza diffusa, non solo in Italia.

Come mostra il conflitto sociale esploso in Francia contro il Jobs Act. Per questo, conviene fare attenzione al degrado che coinvolge il sentimento sociale e spinge verso il basso quello che un tempo era il ceto medio, motore principale dell’ economia italiana e che sembra non avere  speranze di risollevarsi , perché così si rischia davvero di perdere il futuro.

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