“Oggi sono un uomo, e voglio essere felice”. La storia di Ivan, transgender in lotta per i diritti civili
Dopo Lombardia, Piemone, Lazio, Liguria e Toscana, anche le Marche hanno fatto il loro ingresso ufficiale nel mese del Pride (o “orgoglio”): giugno per l’appunto, in memoria dei moti di Stonewall (New York, USA), avvenuti la notte tra il 27 e il 28 del 1969. E che portarono – seppure ‘simbolicamente’ - alla nascita del movimento di liberazione omosessuale, oggi LGBTQIA+.
Sarà Pesaro ad ospitare quest’anno (sabato 18 giugno) il corteo dove sfileranno i membri della comunità arcobaleno, assieme a varie associazioni (fra cui Arcigay Ancona e Agedo Marche) e sostenitori. Anche il gruppo "Comunitrans" è pronto a trasmettere dal palco del "Marche Pride" il proprio messaggio di rivendicazione dei diritti civili, attraverso la voce e il volto di Ivan Marl Bolognini.
Venticinque anni per lui, capelli corti tendenti al rossiccio, un accenno di barba, sguardo trasognante dietro gli occhiali da vista, laureato alla Poliarte di Ancona e oggi con un lavoro come autista soccorritore per la Croce Rossa di Osimo (ma vorrebbe tornare a studiare per diventare artista digitale, e progettare grafiche di interior design). Ascolta Mr. Rain, il pop punk e la musica commerciale, adora il mare, la pioggia e le birre bionde.
Sul proprio corpo, sei tatuaggi che raccontano la sua giovane vita, distribuita tra valori, affetti, tempeste attraversate e rinascite. Come il romantico bruco che diventa farfalla dopo aver fatto di paure e traumi la propria crisalide, Ivan ha inseguito e raggiunto il suo sogno, non scevro di difficoltà imposte da discriminazioni e pregiudizi sociali. Lui, nato di sesso femminile, ha scelto di compiere per amor proprio quel percorso di transizione – fisico e psicologico – che serve per diventare uomo.
Una persona ‘transgender’, direbbero i più democratici. Ma per i benpensanti di oggi, Ivan rimane semplicemente “un trans”, un deviato. Sebbene non esista a livello scientifico – sottolinea lui ricorrendo agli esperimenti di Gregor Mendel – il cosiddetto gene della transgenerità. E che “essere normali – aggiunge - è solo un’etichetta imposta dalla società".
Quando hai preso coscienza del tuo desiderio di diventare uomo? Da che ho memoria, ho sempre sentito di essere diverso: quando ero piccolo, bambini e genitori non facevano che sottolinearlo. “Devi essere come le altre bambine”, dicevano. Io, invece, volevo i capelli corti, vestirmi con jeans e magliette, essere come “mi sentivo”, giocare con gli altri maschietti. Poi a 17 anni mi sono messo a cercare su Google (letteralmente) “femmina che si sente maschio”: è così che sono venuto a conoscenza di espressioni come F2M*e, improvvisamente, non mi sono più sentito solo nella mia incomprensione.
E la tua famiglia come si è comportata? I miei genitori fortunatamente mi hanno sempre assecondato, purché stessi bene. Quando poi li misi al corrente del mio desiderio di compiere la transizione, ci fu un corto circuito comunicativo tra di noi: era la fase di imbarazzo ed elaborazione. Poi un giorno mi dissero: “se questa è la tua strada per essere felice, noi ti appoggiamo”. Mia sorella Martina fu la prima a chiamarmi ‘fratello’ e a utilizzare ufficialmente il nome che mi ero scelto.
Qual era il tuo nome da donna? Non è che non voglia dirlo, ma è una di quelle cose che ti ricollega al passato e che puo portare le altre persone a ferirti utilizzando il vecchio nome. Che importa chi ero prima? Importa chi sono adesso: la stessa persona, con un suo bagaglio storico, la stessa anima, ma con altro nome Ho tenuto ‘Marl’ – storpiatura di Marlene – perché era il soprannome con cui mi facevo chiamare da piccolo.
È stato anche un modo per trattenere il passato e la tua componente femminile? All’inizio avrei voluto tagliare i ponti con tutto ciò che mi faceva ripensare alla mia vecchia vita. Ma poi ho trovato la mia serenità interiore, e le persone che già mi volevano bene sono rimaste. In più, l’aver trattenuto la mia componente femminile mi consente oggi di essere rispettoso e tollerante verso tutti: uomini e donne. So cosa significa far parte di entrambi i mondi, e quindi conosco le conseguenze degli atteggiamenti sessisti.
Hai una compagna? Le hai raccontato di te? Ci frequentiamo da pochi mesi. Lei aveva intuito quasi subito che in me c’era qualcosa di diverso, poi le parlai della mia transizione. Mi disse che per lei non c’era alcun problema, aggiungendo “sei l’uomo più sensibile e profondo che abbia mai conosciuto”.
Come è stato il tuo percorso di transizione da donna a uomo? Iniziai subito dopo l’università, nel 2018: ci fu prima la preparazione psicologica (grazie ai consigli del dott. Danilo Musso), che mi hanno portato prima al Mit di Bologna e poi al Saifip di Roma. Poi nel 2020 mi diedero il via libera per l’assunzione di ormoni e testosterone, e a luglio 2021 ho eseguito la ricostruzione del torace maschile (volgarmente, “rimozione del seno”). Certo, nel frattempo ho temuto per la mia salute e di perdere le persone a me care, ma fortunatamente tutto è andato bene.
E cosa hai provato alla fine? Pensavo che avrei goduto di una felicità unica, e invece mi sono chiesto: “e adesso che faccio?”. Avevo realizzato il mio sogno, ma ho represso le mie emozioni come se mi sentissi in colpa per la mia stessa felicità. Poi mi sono reso conto che non avevo più vincoli, che ero libero, e potevo finalmente trovare la mia strada in questo mondo, cosa che prima non potevo permettermi per via di tante rinunce.
E oggi cosa ti spaventa? Ciò che ancora non conosco di me stesso: ancora oggi vado in terapia da una psicologa, perché subisco i traumi, l’influenza e il disprezzo della società che mi considera una sorta di “rifiuto umano”. Ma riesco a fermarmi in tempo, e a capire che vado bene così come sono, che devo ragionare con la mia testa e non con quella degli altri. Alla fine, voglio solo smettere di martoriarmi e provare amore per me stesso.
Qual è il problema della società di oggi, secondo te? La mentalità patriarcale e retrograda, figlia – ahimé – di una ideologia nazifascista, ancora presente anche nelle Marche: da lì nasce la tendenza a ostracizzare chiunque non venga ritenuto ‘normale’. Ecco, io vorrei andare in giro con le varie associazioni impegnate sul fronte dei diritti civili a smatellare tutti i pregiudizi, e far capire – soprattutto ai giovani - che siamo tutti esseri umani in cerca della propria felicità, che “il corpo è tuo e puoi farci quello che vuoi”. Ma, come se non bastasse, ti rema contro anche la politica: guarda che fine ha fatto il DDL Zan.
C’è qualcosa che non hai mai confessato a qualcuno? Non mi sono mai sentito veramente compreso. E in realtà, non ho mai confessato a nessuno tutto il reale dolore che questo mi provoca ancora oggi. O la solitudine che sento dentro di me per questo mio percorso così unico: a volte è un peso, vorrei essere come gli altri. Ma questo succede perché sono gli altri che vogliono farti sentire ‘diverso’.
(*sigla inglese indicante una persona che è in transizione di genere o che ha completato la transizione da femmina a maschio)
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