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“Per un carcere minimo”: alla Controra si riflette su dignità, giustizia e reinserimento

“Per un carcere minimo”: alla Controra si riflette su dignità, giustizia e reinserimento

Cosa vuol dire oggi “carcere minimo”? È possibile immaginare un’istituzione penitenziaria che non schiacci la persona, ma anzi, contribuisca al suo reinserimento e alla sua dignità? A queste domande ha cercato di rispondere l’incontro Per un carcere minimo, che si è svolto ieri all’interno del cartellone de La Controra, rassegna culturale firmata Musicultura.

Nella cornice della Sala Castiglioni della Biblioteca Mozzi-Borgetti, si è aperto un dialogo tra diritto, giustizia e società civile, grazie agli interventi del Garante regionale dei diritti della persona Giancarlo Giulianelli e della magistrata e scrittrice Silvia Cecchi.

Giulianelli ha evidenziato come questa riflessione sia il frutto di un cammino iniziato proprio insieme a Musicultura, all’interno del progetto “La casa in riva al mare”, che ha portato la musica dentro il carcere di Barcaglione ad Ancona e ha favorito un concreto scambio con l’esterno. “Questo incontro Per un carcere minimo è un'idea che nasce proprio dall'esperienza maturata con Musicultura – ha affermato – la possibilità quindi che il carcere possa dare uno spazio di dignità ulteriore ai detenuti, maggiore di quello di cui attualmente godono. E Musicultura, la musica, la possibilità che la comunità esterna partecipi al carcere e viceversa, è una cosa fondamentale per rendere il carcere effettivamente minimo”.

Accanto a lui, Silvia Cecchi ha riportato la riflessione su un piano più strettamente giuridico e culturale. Il suo intervento è stato una presa di posizione chiara contro una concezione del carcere come risposta automatica alla violazione della legge. “Ho voluto fare chiarezza su alcuni equivoci piuttosto diffusi – ha dichiarato – cioè quello di un carcere minimo che è diverso dal diritto penale minimo. L'equazione diritto penale uguale carcere, a mio avviso, deve essere tagliata”.

Secondo Cecchi, il vero nodo sta nella natura stessa del carcere come pena totalizzante: “Il male principale del carcere è che è una pena totalitaria, che riguarda l’intera persona e non soltanto il fatto. Si trova quindi in contraddizione con un diritto penale che dovrebbe invece partire dall’offesa e non dall’identità del reo”.

Giulianelli ha poi sottolineato quanto l’incontro sia stato arricchito proprio dal pensiero di Cecchi: “La dottoressa Silvia Cecchi per me è stata illuminante con il libro Carcere, è stata un'esperienza molto bella. Conoscevo già la dottoressa e ho molto apprezzato quello che lei ha detto oggi”.

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