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Dottor De Donno: una vita per la medicina, ma anche marito e padre

Dottor De Donno: una vita per la medicina, ma anche marito e padre

Se ne parla molto in queste ore, a seguito della sua morte, per l’impatto pubblico e mediatico che ha assunto la sua attività di ricerca per combattere il Covid.

Pare doverosa però la premessa che il dottor De Donno, Primario del reparto di Immunoematologia e Trasfusionale del Carlo Poma di  Mantova prima di lasciare tutto e dedicarsi alla medicina generale, era prima di ciò marito e padre.

Nel dibattito acceso che ha sollevato la sua morte, tra negazionisti, sostenitori  e detrattori dell’efficacia della terapia vaccinale contro il covid, l’argomento non può essere trattato senza la dovuta sensibilità e delicatezza che umanamente dovrebbero venire spontanee pensando al dolore straziante che la sua famiglia prova, e che certamente avrà provato insieme a lui, quando il loro caro è stato sbattuto in prima pagina venendo anche superficialmente deriso, senza che venissero lesinate parole violente ed aggressive contro quella che è stata la sua attività, certamente, ed almeno questo nessuno lo può negare, finalizzata in buona fede a salvare vite umane, da medico, già ben prima dell’esplosione della pandemia.

Una vita dedicata alla medicina, la sua, sino a  che il suo nome è diventato quello di  uno dei medici più conosciuti d'Italia perché ha sperimentato ed ha proposto la terapia del plasma iperimmune per combattere il Covid.

Le sue parole:

“Costa poco, funziona benissimo, (58 su 58 i pazienti terminali da lui trattati e guariti) e non rende miliardario nessuno, forse è questo il problema” . “Io devo curare i miei pazienti, evitare che muoiano”.

“La missione di tutte le professioni deve essere quella di mettersi a servizio della Comunità”

“È questa la stranezza di questo Paese (...) chi ha lavorato 18 ore “ventre a terra” (come lui ndr) salvando persone, cercando di dare un senso alla sua attività e cercando di trovare delle chance terapeutiche è stato mandato al rogo come una strega, capite?”

Queste poche dichiarazioni rilasciate da lui  in un’ intervista nel 2020 sono forse le più efficaci per un principio di riflessione sull’ “uomo” De Donno.

Oggi, mentre si parla del suicidio del dottor De Donno, la Procura di Mantova ha aperto un'inchiesta per capire se possano esserci responsabilità di terzi per il gesto estremo.

Diversi sono ancora gli aspetti da accertare. Secondo quanto trapela da fonti investigative, per gli inquirenti sono  ancora poco chiare le motivazioni che possono aver spinto l'ex primario a un tale gesto, ed è per questo che la procura di Mantova ha aperto formalmente un'inchiesta sul suicidio del medico.

Non si tratta quindi di “cavalcare l’onda” a supporto di  eventuali “teorie complottiste”.  Gli inquirenti sono impegnati nelle indagini di rito sul suicidio, tanto più visto che non è stato ritrovato alcun messaggio indirizzato ai familiari, e visto che  la morte del medico ha lasciato tutti sgomenti perché non c'erano stati segnali che potessero far pensare a un gesto estremo: «Con il nuovo lavoro di medico di base - ricorda il sindaco di Curtatone, legato a lui da una profonda amicizia  - l’avevamo visto felice della nuova opportunità. Io stesso lo avevo affiancato quando ai primi di giugno aveva annunciato che lasciava l'ospedale per dedicarsi alla medicina di base».

 

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