Il geologo Tondi ha pochi dubbi: "La zona più a rischio? Quella a nord di Amatrice"
L'intervista alla nostra redazione ha fatto il giro d'Italia. E non gli sono state risparmiate critiche. "Se lo sapevi, allora perchè non ci dici dove sarà il prossimo terremoto...": questo in linea di massima il tenore dei commenti critici, che sono arrivati in misura nettamente inferiore invece ai complimenti per la sua attività di studioso, geologo e sismologo. Il responsabile della sezione di Geologia dell’Università di Camerino Emanuele Tondi, allora, specifica ancora di più la situazione rispetto a quanto già dichiarato l'altro giorno, proprio nei giorni in cui sta effettuando insieme ai colleghi dell'Università di Camerino, sopralluoghi e ricerche nei posti devastati dal sisma del 24 agosto.
Innanzitutto, in merito alla prevedibile durata dell'attuale sciame sismico dice che "La durata è variabile perché ci sono tantissime condizioni che possono incidere su di essa ma se mano a mano i terremoti continuano a scemare di magnitudo e di frequenza potrà durare ancora una settimana o due approssimativamente".
Scendendo invece nel particolare, a domanda precisa "Dove ci sarà il prossimo terremoto?", Tondi non si tira indietro. "Le faglie hanno un certo comportamento meccanico e fisico e nel momento in cui si attivano determinano un incremento degli sforzi lungo la loro direzione. Nel 2009 le faglie a nord dell’Aquila erano state caricate dal terremoto stesso dell’Aquila sia da sud che da nord, dal precedente terremoto di Colfiorito, tra l’Umbria e le Marche, per cui era prevedibile che in futuro si sarebbero riattivate le faglie situate tra Amatrice e Norcia e non quelle dell’Aquila o di Colfiorito. Nel momento in cui si conoscono le faglie si sa anche la magnitudo massima possibile e poi, facendo un’analisi dell’evoluzione spazio – temporale dei terremoti avvenuti nel passato, è possibile prevedere dove ci sarà, con grande probabilità, il successivo. La zona più a rischio è chiaro che non può essere L’Aquila né la zona tra Norcia ed Amatrice né Colfiorito, poiché lì si è già verificato; sarà quella più a nord, tra Norcia e Colfiorito".
Gli scettici e i dubbiosi sono serviti: speriamo che quanto previsto dal professor Tondi accada quanto più lontano possibile nel tempo. Ma nel frattempo, speriamo anche che queste parole non rimangano inascoltate.
A confermare le teorie di Tondi, anche la Commissione Grandi Rischi, secondo la quale "Ci sono tre aree contigue alla faglia responsabile della sismicità in corso che non hanno registrato terremoti recenti di grandi dimensioni e “hanno il potenziale di produrre terremoti di elevata magnitudo”, tra 6 e 7, quindi di intensità pari ed oltre quella registrata nella notte tra martedì e mercoledì nel Reatino e nell’Ascolano. Queste aree “identificano possibili futuri terremoti nella regione già colpita dagli eventi degli ultimi anni”. I tecnici dell’area geologica e sismica del Dipartimento della Protezione civile hanno chiarito che le tre aree sono quelle di Monte Gorzano, che si trova all’interno dei Monti della Laga e a cavallo tra Abruzzo e Lazio, al confine fra la provincia di Teramo e quella di Rieti; quella del Monte Vettore, che e’ il rilievo montuoso piu’ alto del massiccio dei Monti Sibillini, appartenente al comune di Montemonaco, provincia di Ascoli Piceno, e quella di Montereale, nella provincia de L’Aquila.
La parole della Commissione Grandi Rischi devono essere da monito per chi governa e governerà questo Paese: "La Commissione Grandi Rischi rileva che nelle prime 36 ore la sequenza ha seguito il decorso tipico delle sequenze sismiche appenniniche, con un numero relativamente alto di scosse di assestamento. Tuttavia, altre volte nel passato le sequenze sismiche di questa regione hanno avuto una ripresa o si sono propagate alle aree limitrofe, ad esempio per gli eventi del 1703 (con due eventi di magnitudo quasi 7 a distanza di un mese) e del 1639 (con una distribuzione dei risentimenti simile a quella della scossa del 24 agosto scorso). La Commissione Grandi Rischi non manca di rilevare poi che come emerge dalle prime risultanze dei danni provocati dal terremoto di mercoledì “le criticità sono legate alle vulnerabilità tipiche delle varie tipologie edilizie storiche presenti non solo in questa zona, ma anche in buona parte d’Italia”. Si tratta di “vulnerabilità ben note, collegate in gran parte a carenze costruttive originarie ma anche a scarsa manutenzione ed alla trasformazione degli edifici nell’arco del tempo”. L’esperienza dei terremoti passati ha dimostrato che “e’ possibile aumentare considerevolmente la sicurezza, in particolare per quanto riguarda la salvaguardia delle vite umane, anche con interventi di miglioramento sismico limitati e localizzati, accompagnati da una adeguata manutenzione”. Di qui la raccomandazione di “intensificare l’azione delle amministrazioni pubbliche al fine di velocizzare e completare i programmi già avviati per la valutazione della vulnerabilità e la riduzione del rischio sismico nell’intera regione, con particolare attenzione agli edifici strategici e rilevanti, e di incoraggiare i proprietari a valutare la vulnerabilità sismica delle proprie abitazioni e ad intraprendere le azioni migliorative conseguenti”. Un appello quindi a mettere mano alla materia edilizia, intendendo con questo il rafforzamento della protezione antisismica.
(nella foto il professor Emanuele Tondi ad Accumoli)
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